A Carlo, con rabbia e amore.

 

 

Quarto (21 luglio 2001)

Questo quartiere di Genova è stata sempre famoso nel mio immaginario.

Quando ero bambino mio padre la storia dei garibaldini che partirono in mille da Quarto me l’avrà raccontata almeno mille volte. Una sorta de Granma ante litteram, azzarderei…

mille garibaldini partirono da qui per unire l’Italia, cacciare gli invasori dell’epoca, costruire una repubblica democratica e socialista. Più o meno, insomma…

Come è andata a finire ce lo racconta la Storia, ma per me che sto in fissa co’ ste cose, diciamo, è un corso e ricorso interessante dove tuffarsi dentro.

Anche se non avrai mai pensato di dover venire qui con la rabbia e la morte nel cuore.

Oggi mio padre però non sa che sono a Quarto. Lui è fuori Roma con mia madre e mia sorella per le vacanze. Pensa che io sia al lavoro. Pur avendo 27 anni non gliel’ho detto che partivo. Non volevo farlo preoccupare, né a lui né a mia madre.

E’ qui, alla ridente stazione di Quarto, che si ferma il treno.

Ancora non abbiamo capito perché qui e non a Genova città. Mah…

Dicono che il nostro campeggio, quello del Network Antagonista per i Diritti Globali, si trova qui a due passi.

Me immagino che significhi due passi sotto il sole.

Il treno si ferma ma nessuno scende, cazzo.

Si aprono le porte automaticamente.

Ci guardiamo tutti e tutte in faccia: che si fa?

Ridiamo, nervosi. Accendiamo sigarette, senza aver bevuto neanche un caffè. Son appena le sette del mattino e già me brucia lo stomaco.

E già si muore di caldo, cazzo.

Nessuno scende.

La verità è che abbiamo paura.

Non sappiamo cosa ci aspetta fuori dalla stazione, in città.

Non sappiamo che fare. Io, come al solito, un po’ scoatto e un po’ mi prendo la responsabilità come compagno fra i più grandi d’età, di scendere dal treno per primo. Anche se ho ripetuto ai miei compagni e alle mie compagne fino alla noia che c’ho gli attacchi di panico da alcuni mesi e che quindi non mi sarei preso l’incarico di fare il responsabile di servizio d’ordine del nostro gruppo. Non sono abbastanza lucido in questo periodo.

Scendo dal treno timoroso, metto giù il piede destro per primo, mentre mi tengo con un braccio alla porta pronto a risalire se ci fossero brutte sorprese. Stecco mi tiene per il braccio, per sicurezza e paranoia. Sono il primo a mettere giù un piede dal treno. Ancora nessuno e nessuna lo fa.

Sto veramente scomodo così, cazzo. Rischio di rompermi aho’…

Come quella volta al ritorno da Firenze.

Quando trovammo una marea di guardie ad attenderci a Tiburtina.

Per colpa dei soliti anarcosquatter, ci dissero alcuni compagni riformisti, che sfasciarono mezzo vagone e imbruttirono al bibbitaro del treno e alle guardie della Polfer le poche salite a Firenze con noi, per farci la scorta.

Mi incazzai come una bestia cor Secco,uno dei cosiddetti anarcosquatter,e lo minacciai e gli dissi che erano i soliti stronzi scoppiati e che non gli menavo solo per l’affetto e l’amicizia che c’era stata fra noi anni prima, ai tempi dell’alleanza fra il nostro coordinamento studenti medi autorganizzati zona ovest e il loro, di cui faceva parte appunto er Secco, fra l’altro vicino di casa dei miei amati zii…

Ecco, non ho mai chiesto scusa ar Secco per quella ingiusta esplosione di rabbia e aggressività testosteronica nei suoi confronti e lo faccio ora da queste pagine: scusa Secco.

Fra l’altro il vagone non era neanche sfasciato così come ci erano venuti a dire con un eccesso di zelo troppo sospetto alcuni compagni: a pensarci bene, oggi, posso dire che volevano farci litigare fra noi autonomi-antagonisti e gli anarco squatter per poter rompere un (im)possibile fronte contro di loro: i neoriformisti del movimento.

Gli anarchici, soprattutto quando son giovani e squatter, non sono solo il solito capro espiatorio per lo Stato e basta, a volte lo sono anche per il Movimento. Che schifo.

Insomma allora, quando arrivammo a Tiburtina trovammo le guardie schierate sui binari con casco e manganello e scudo: la cosa, credetemi, ci impressionò a tutti e tutte, e se qualcuno oggi vi dicesse che non era niente di che, non gli credete, mente sapendo di mentire….

Al punto che quando il treno si fermò noi decidemmo, con un passaparola immediato fra tutti i vagoni, di restare asserragliati dentro il treno. Quando le porte si aprirono automaticamente noi le richiudemmo subito da dentro costringendo i poliziotti ad aprire porta per porta di ogni vagone usando il pulsante esterno con scene da film muto degli anni ’20. I celerini aprivano la porta del vagone schiacciando il pulsante laterale esterno e noi la richiudevamo usando quello interno e nell’intermezzo volavano manganellate a non finire a cui rispondevamo con cintate calci.

A un certo punto uno stronzo di celerino mi prese per il braccio e iniziò a tirarmi verso il basso mentre i compagni mi tiravano a loro volta verso di loro, prendendolo a cintate (colpendo anche me, cazzo…) e alla fine mi tirarono dentro il vagone chiudendo al volo la porta e cadendo tutti giù per terra all’indietro, come Stanlio e Olio, appunto. Risultato un braccio lussato.

La storia andò avanti per un bel po’ fino a che non vedemmo che un gruppone di manifestanti aveva iniziato a scendere e che noi eravamo come gli ultimi giapponesi rincojoniti nella giungla, solo che qui eravamo dentro un treno e non liberi nella giungla.

Alla fine le guardie salirono e grazie a qualche manganellata ci convinsero a scendere.

Ci circondarono sui binari e ci fecero smaltire una cifra, fino a quando dopo la solita trattativa, ci fu chi decise di dare i propri documenti.

Così fecero in tanti e alla fine ci lasciarono andare.

Quindi dico a Stecco di stare attento: mica me vojo rompe’ er braccio n’artra vorta.

Me lo sono appena tolto il gesso, dopo 45 giorni, causa una stupida rissa sulle scalinate del rettorato della Sapienza, durante l’occupazione dell’ultima primavera. Ma questa è un’altra storia.

Alla fine scendo, faccio lo sbruffone e invito gli altri e le altre a venire giù dal treno senza timore, daje !

Siamo a Genova, cazzo. E’ il tempo della vendetta, m’illudo.

Io manco ce volevo veni’ , ero contrario.

Ma siamo qui per vendicare Carlo.

O meglio, siamo in pochi a volerlo fare, temo, forse saremo qualche migliaio. Beh, diecimila su trecentomila è una bella minoranza, no? Ma saremo diecimila a volerlo fare? A volerci scontrare con i carabinieri?

Usciamo dalla stazione, la solita armata Brancaleone.

In direzione del campeggio.

Arriviamo e siamo carichi di rabbia e aspettative.

Alla riunione al campeggio del Network, il solito pompiere schizzato fa affermazioni senza senso: ci sarà tempo per vendicarci, oggi non dobbiamo accettare provocazioni! Fare un grande corteo di massa.

Dice proprio così: ci sarà tempo per vendicarci.

Ma che cazzo dici, coglione? Ma quale tempo!

Dobbiamo mettere a ferro e fuoco questa città, oggi, adesso.

Hanno ammazzato un compagno in piazza cristo de ddio, Non succedeva dal 1977, da quando ammazzarono, colpendola alle spalle, Giorgiana Masi, da noi, a Roma, su ponte Garibaldi.

Da allora le guardie non hanno più ucciso nessuna compagna o compagno durante una manifestazione di piazza. Nessuna. Nessuno.

Ma chi cazzo l’ha nominato questo capo del Network?

Questi autoproclamatisi dirigenti dell’autonomia di classe, dell’area antagonista, addirittura del movimento, sono almeno 10 anni che ce portano allo sfascio…

Non hanno strategia, non sanno fare un’analisi, anche minimale, della fase. Non hanno metodo e non sanno neanche proteggere e far crescere, senza bruciarli, i compagni più giovani.

In fondo in fondo noi di Magliana nel Network ci siamo entrati perché non volevamo mancare questo cavolo di appuntamento con la storia e il Network era la cosa più vicina a noi, ma se davvero fosse dipeso da noi, beh. A Genova manco ce saremmo venuti, cazzo.

A parte che Network Antagonista per i Diritti Globali è un nome che non piace a nessuno e nessuna ma poi perché dobbiamo sempre dividerci a sinistra? Con gli altri pezzi dell’ex Autonomia di classe, della galassia antagonista e di quella ancor più galattica dell’area anarcosquatter black bloc dovremmo trovare delle convergenze invece di litigare fra noi.

E invece noi del Network ci siamo blindati nel nostro recinto e loro hanno fatto altrettanto, cosicché i Disobbedienti si sono strutturati e cresciuti alla grande mentre noi siamo divisi e frammentati anche oggi.

All’ultima assemblea nazionale a Roma, alla Snia, ci siamo persi pure un altro pezzo.

A pochi giorni dalla partenza una parte dei compagni e delle compagne napoletani guidati da Francesco ci tradiscono e ci annunciano che se ne andranno coi neonati Disobbedienti al Carlini.

Un dramma shakesperiano che si è consumato per ore e ore.

E così alla fine noi del network antagonista siamo pochi, molti di meno di quando eravamo partiti e di quanti avremmo potuto essere.

Una gran parte degli autonomi di Roma e di altre città invece non solo non è mai entrata nel network antagonista ma non è mai entrato in comunicazione con noi, se non per litigare e infatti oggi se ne stanno nel cosiddetto blocco nero.

Potevamo essere tanti, organizzati, inquadrati. Autonomi, anarchici, antagonisti.

E invece no, come al solito la divisione e la frantumazione hanno prevalso e quindi siamo qui pochi, davvero pochi rispetto a quello che ci sarebbe da fare… e alle nostre enormi potenzialità.

L’area di chi ha deciso di non entrare nella sinistra istituzionale è vastissima, potenzialmente una bomba, ma divisa, litigiosa e frammentata e quindi nel cosiddetto Movimento dei Movimenti il nostro peso politico è prossimo allo zero.

Ma non basta essere divisi. Iniziamo a menarci pure fra di noi.

Pare che ieri alla piazza dei sindacati di base i black bloc abbiano fatto un casino.

I racconti sono confusi e frastagliati, non ci si capisce un cazzo.

Ma una cosa è certa, pare che un black bloc de noantri, o anarchico o non sappiamo bene chi ha rotto la testa al Caid.

Dico, ma sei scemo?

Cazzo, per quanto noi con il Caid ci abbiamo spesso litigato verbalmente ma rompergli la testa è un’azione squadristica! Che va lavata nel sangue, secondo molti e molte di noi appena giunti qui a Genova.

Ma perfino i Cobas, che sono avvelenati con i black bloc dicono che non è il caso, non è il momento e poi pare che questo tizio sfasciatesta sia andato a chiedere scusa al Caid.

Non ci si capisce veramente niente.

Della morte di Carlo l’ho saputo dalla radio.

Onda Rossa, ovviamente. La Radio.

L’ho sentito in diretta, appena tornato a casa dal lavoro. Ero da solo, nella mia stanza. E mi si è gelato il sangue. Ho avuto paura.

Paura perché stava accadendo qualcosa più grande di noi, di terribile. Mi sono messo a piangere, da solo.

Poi sono corso al Macchia dove fervevano già i preparativi per la partenza.

Stecco andava avanti nella costruzione di paragomiti e parastinchi di gomma dura come se nulla fosse. Insieme a quell’altro invasato de Samuele.

Si dividevano le maschere antilacrimogeni che abbiamo acquistato in diversi negozi poiché non se ne trovavano quasi più in città. Da giorni e giorni tutte e tutti si affannavano a comprarle manco fosse un regalo di Natale dell’ultim’ora. Noi le abbiamo prese perlopiù dalla vecchia ferramenta a piazzale della Radio che le vendeva ancora, ne abbiamo ordinate una decina. io ne ho presa una bruttina, che non mi piace affatto, ma tant’è, meglio di niente. Basta che funzioni.

Io volevo quella bianca, bellissima ma non ce n’era una in più per me. Magari me la scambierò con qualcuno dopo, al ritorno da Genova, quando molte cose sicuramente le butteremo. Ma la maschera bianca la conserverò anche fra dieci anni, cazzo.

Stecco e Samuele continuavano a tagliare e incollare come infervorati la gomma piuma bianca, brutta e sporca che temo non ci servirà a molto.

Gli altri erano tutti più o meno attoniti ma nessuno sapeva che diavolo fare.

Manco io ovviamente.

Ma son riuscito a fermare un attimo quel casino di preparativi per dire, cazzo compagni fermiamoci che stiamo facendo, che sta succedendo.

Sarah era la più lucida, aveva paura e non si vergognava di dirlo, al contrario di noi stupidi compagni.

Siamo in venti a partire da Magliana. Cazzo andiamo a fare adesso a Genova?

Abbiamo deciso stavolta di non partecipare al servizio d’ordine centrale del Network ma di garantire solo la nostra autodifesa.

Ma come ti difendi da chi ti spara in faccia?

Mi porto “il sentiero dei nidi di ragno”, non da leggere, se non alcune righe. Ma da tenere nella tasca del giacchetto o addirittura in quella posteriore dei jeans, come un libro ispirazione, ma che soprattutto mi protegga, meglio di una qualsiasi bibbia.

In tanti e tante, seppur da posizioni politiche diverse lo avevamo detto nei mesi passati, soprattutto dopo il massacro di Napoli: Genova è una trappola, non ci andiamo!

Facciamoli organizzare, blindare la zona rossa, spendere un sacco di soldi e poi lasciamoli soli ai grandi coglioni del mondo. Manifestiamo in quei giorni in tutte le città, ma non a Genova.

E invece no, siamo caduti nella trappola.

E un giovane e coraggioso compagno di Genova è morto, assassinato.

Durruti fa una corsa alla riunione in Via per sapere cosa vogliono fare i compagni e le compagne che stasera non partiranno per Genova.

Mi dice sgranando gli occhi che Caterina si è offerta di accompagnarlo a portare i bastoni.

“Ma ti rendi conto, Caterina!”.

Il popolo è con noi, siamo pronti all’assalto. Crediamo…

Caterina, la sua compagna, non è certamente un’autonoma e per anni e anni c’ha sgridato perché facevamo sempre casini su casini, anche quando non ce n’era bisogno. Come quella volta in cui provammo ad attaccare il Bottegone e lei si prese un lacrimogeno in faccia, per la nostra incapacità organizzativa e la nostra avventatezza arrogante.

Stavolta è lei a offrire a Durruti l’aiuto per portare i bastoni.

Il primo a non crederci è Durruti stesso.

L’assassinio di Carlo scuote le coscienze.

A Trastevere alcune centinaia di compagni e compagne manifestano un minimo di rabbia, incendiando cassonetti proprio a due passi da dove fu uccisa Giorgiana. Guidati da quel matto del Ragno appena uscito di galera.

Noi a quell’ora siamo a Tiburtina. In attesa di un treno che parte in ritardo, al punto che temiamo non vogliano farci partire. A questo punto, se ci provano, ci diciamo che occupiamo la stazione e sfasciamo tutto in corteo fino a San Lorenzo.

Ma quante\i saremo a volerlo fare?

Questo cazzo di finto pacifismo ha distrutto il movimento, ‘sto maledetto Bertinotti e chi gli va dietro.

Come cazzo abbiamo fatto a ridurci così?

Almeno Gandhi era un pacifista serio, coerente. Questi fanno i pacifisti ben protetti dalle loro scorte armate fino ai denti, e che cazzo!

Buffoni!

Hanno ammazzato Carlo, come un cane. Lo hanno ammazzato come un cane.

Carlo, fino all’ultimo è rimasto lì davanti, in prima fila.

Durruti me lo ripete come fosse un mantra. Proprio lui che è un ultramaterialista, me lo ripete come fosse un santone indiano.

Poteva succedere a uno di noi, poteva esserci uno di noi al suo posto, mi dice di continuo Durruti.

Perché Carlo si è scontrato da compagno, da militante

Perché Carlo fino all’ultimo è rimasto in prima linea.

Che cosa stiamo facendo?

Dovremmo incendiarla tutta ‘sta città.

Dovremmo travolgerla, la linea rossa, non oltrepassarla, ma travolgerla.

E come i contadini guidati da Gert dal Pozzo dovremmo assaltare il castello, incendiarlo, travolgere tutto.

E’ dal 1977 che la polizia non ammazzava un compagno in piazza.

L’ultima fu Giorgiana ad essere ammazzata in piazza.

Dovremmo dovremmo dovremmo.

Fare di più.

E invece il politicismo di certi idioti che dirigono l’ex movimento antagonista non permette alla rabbia di esprimersi e organizzarsi.

Ma questo non è sufficiente a spiegare perché non riusciamo a distruggere tutto.

Abbiamo paura.

Cazzo diciamolo che abbiamo paura.

Ma anche questo non basta a spiegare perché non assaltiamo sul serio, e non per finta, la zona rossa.

Non ne siamo capaci dentro.

Non abbiamo più quella rabbia e quell’odio di classe che portava i nostri padri e le nostre madri a travolgere la celere proprio qui, a Genova, in un altro luglio. Di tanti e tanti anni fa…

Odio e rabbia

Odio e rabbia

Odio e rabbia

Carlo non c’è più

Carlo non c’è più

Carlo non c’è più

Siamo bardati come fosse inverno, mentre qui fa un caldo pazzesco.

Abbiamo il casco in testa, pantaloni lunghi, maglietta a maniche lunghe, io indosso la mia amata maglietta nera a maniche lunghe della Lewi’s una delle mie preferite di sempre. ci sto morendo dentro, ma almeno mi da la bella sensazione di tenermi al riparo, come una maglia di cotta di mithril…

Abbiamo tutti e tutte anche un giacchetto o una felpa leggera sopra. Per ora legati ai fianchi ma pronti per essere indossati al momento delle cariche e soprattutto quando lanceranno questi nuovi maledetti lacrimogeni urticanti.

Robba da rosolia…

Passamontagna o fazzoletto o alcuni più nostalgici la kefiah.

La maschera antigas al collo, pronta per essere indossata.

Zainetto sulle spalle, bottiglietta piena di soluzione acqua e maalox, limoni, panini e frutta, bottiglie di acqua e materiale da lancio personale, oltre a quello che abbiamo nello zaino collettivo.

Manuel ci rifornisce tutti di guaranà, appena iniziato ad andare di moda dalle nostre parti.

Un sacco di gente ci tira acqua dalle finestre, al punto che dobbiamo fermarli: ormai c’hanno completamente fradiciato, cazzo!

Il corteo è immenso, attraversa il lungomare di Genova in maniera imponente.

Mai vista una cosa simile in vita mia, mai.

Ad un certo punto siamo divisi in due corsie entrambe separate dallo spartitraffico. Ci sorpassano a destra i compagni del blocco anarco-autonomo-squatter. Sono, all’apparenza, molto più cattivi di noi.

Come in parte vorrei che fossimo noi, che fossimo tutti insieme per un unico blocco anarchico-autonomo-antagonista. E invece continuiamo a dividerci anche adesso.

Oliva da lontano mi saluta con un gesto inequivocabile delle mani protese a formare un mezzo cerchio con pollici e indici che si guardano: ….rompiamo il culo !

Ma non capisco se intende romperlo a noi o alle guardie.

Prima o poi glielo devo chiedere e togliermi questo dubbio amletico.

Ci avviciniamo sempre di più alla zona rossa, ci dicono.

Chissà se è vero.

Quindi iniziamo a bardarci completamente.

Il caldo ci ammazza.

Sista si sente male. Quasi cade a terra e la riprendiamo al volo.

Mi stacco dal nostro cordone per portarla all’ambulanza autogestita dei compagni e delle compagne dei Cobas sanità. Dico ai miei compagni e alle mie compagne che torno subito. Dove ci aspetta l’inferno. Una fila lunghissima di gente che si sente male.

Non vogliono farla salire. Gli dico che sta per svenire davvero e che cazzo su!

Niente, non ci sentono da questo orecchio.

Allora metto la spranga sul parabrezza e li minaccio: o la fate salire e la curate al volo oppure ve sfascio l’ambulanza.

La fanno salire.

Con le buone maniere si ottiene sempre tutto.

Ma che figura da stronzo violento che ho fatto. E proprio davanti alla compagna infermiera di Pisa che mi piaceva tanto. Ora torno indietro e le chiedo scusa.

Ma non faccio in tempo.

Parte la carica.

Lontanissima.

E chi li vede i poliziotti da qui.

Ce ne accorgiamo perché la gente inizia a indietreggiare velocemente. Solo che siamo più ammassati che mai al punto che manco cadiamo l’uno sull’altro ma restiamo senza equilibrio, in piedi.

Arriva il solito fumo acre e amaro dei lacrimogeni, che impastato con l’afa fa impazzire.

Non vedo il mio cordone.

Non vedo il mio spezzone.

Adesso la gente scappa davvero, indietreggia sul lungomare e inizia a buttarsi sulle via laterali.

Cazzo mi sono perso i miei compagni e le mie compagne.

Cristo de ddio no!

Mi sono perso i miei compagni.

Manco l’ambulanza vedo più.

Sista non la vedo.

No! No! No!

Devo ritrovare Sista e poi riunirci insieme ai compagni e alle compagne di Magliana.

Iniziamo a cadere su noi stessi.

Iniziamo a indietreggiare in maniera incasinata.

Si apre uno spazio enorme.

Davanti a noi un’infinità di poliziotti.

Davvero, un’infinità.

Mi ritrovo in prima fila.

In prima fila.

Non capisco come e perché ma mi ritrovo in prima fila.

Molti gruppi di compagni hanno prese le strade laterali. La corsia alla nostra destra dove si trovavano i cosiddetti neri ora è semivuota.

Ci siamo noi del Network che proviamo a resistere.

Su questo cazzo di lungomare lunghissimo e larghissimo a fronteggiare un battaglione di celerini enorme.

Ci siamo noi.

Con Peppe e gli altri autonomi romani de Roma. Come ai bei tempi degli anni ’90.

“Daje compa’, daje. Resistemo nun indietreggiamo forza!”

C’è un’atmosfera strana.

Da grande battaglia, che non si farà.

Almeno qui non si farà.

Mi sento come un fantasma che si aggira nella terra di nessuno.

Avanzo staccandomi dalla prima fila e mi ritrovo immerso in una nuvola bianca di gas lacrimogeno.

A me sembra che sta cazzo di maschera antigas non serva a nulla.

Me la tolgo e mi butto l’acqua sul viso. E poi tanto ma tanto limone.

Non respiro.

Mi sento come un fantasma. Cammino tra il fumo come un fantasma.

Adesso li vedo, parte la carica uomo a uomo.

La loro caccia.

Indietreggio cercando di ritrovare la nostra prima fila, tiro qualche sasso e qualche bottiglia ma vestiti da robocop come sono non credo che gli faccio nulla, pure se li pijo.

Adesso caricano a fondo.

Vogliono farci indietreggiare velocemente, spazzarci da questo tratto del lungomare.

Adesso gli do le spalle e corro sul serio.

Cado per terra come al solito, quasi in ginocchio e c’ho un battaglione infinito di celerini alle spalle

Ninuccio me tira su e me porta via.

Non smetterò mai di ringraziarlo. Mai.

Indietreggiamo ancora.

Ho sbagliato spezzone.

Dovevo andare coi black bloc, questo nostro spezzone è ormai rammollito, diviso, senza la giusta rabbia e organizzazione. Me lo ripeto come un mantra mentre torniamo indietro verso il campeggio.

Non vedo i miei compagni, non li vedo e non li trovo più.

Incontro un po’ di compagni e compagne dell’università.

C’è un atmosfera surreale.

Passiamo davanti a una caserma dei carabinieri sulla via del ritorno.

Qualcuno tira sassi e bomboni ma niente di più.

Dovremmo assaltarla tutti e tutte insieme!

E invece un sacco di compagni e compagne si mettono a inveire contro chi tira sassi e bomboni, li spintonano, gli urlano di uscire dal corteo.

Ma se semo impazziti?! Ma che cazzo state a fa’?

Quelli hanno ucciso Carlo, ferito centinaia di manifestanti e voi ve permettete di attaccare chi giustamente ha ancora voglia di esprimere la propria rabbia?

Finisce tutto così.

Senza vendetta e come se nulla fosse accaduto.

Carlo è morto invano.

Sui binari di Brignole arriva una strana notizia.

Pare che la polizia giri con dei sacchi neri per la città.

No, non è possibile. Non facciamo girare questa false notizie di guerra, non mandiamo in giro voci che potrebbero scatenare ulteriore panico, dopo questo stato di calma apparente.

Pare che la polizia sia andata al Media Center. Chissà se è vero.

Mi sembra impossibile, ma che continuano a darci la caccia?

Sembrava tutto finito…

Guardo Stecco e gli dico che dobbiamo serrare le fila.

Abbiamo paura.

Siamo circondati e tenuti d’occhio, a distanza.

“Dobbiamo riportare a casa la pelle”.

 

tratto da “Scontri di piazza” di Marco Capoccetti Boccia, Lorusso Editore, Roma 2012.

 

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