piazza kurdistan

Piazza Kurdistan

Credevo si chiamasse piazza del Celio, almeno così l’avevo sempre pensata. I compagni, nonostante fossimo proprio certi che quello non fosse il suo nome, la chiamavano piazza Celimontana. I giornalisti invece la chiamavano usando tutti i nomi possibili. Neanche loro sapevano bene quale fosse il suo nome, eppure se si trovavano sul posto non doveva essere troppo difficile dare un’occhiata ai muri e cercare una targa…

Comunque non è stato difficile trovarla. Sapevo dove andare.

Il problema è stato decidere di muovermi.

È Marco a farmi muovere. Mi  spinge ad andare, dice che fa comunità.  Mo’ sta in fissa co’ ‘sto concetto della comunità. Gli dico che da solo, questo concetto, non ha senso, come concetto. Che comunità può voler dire molte cose.     E soprattutto che spesso non ha avuto un accezione positiva, storicamente parlando.  E che per quanto ne so io, lui lo usa pure male. Il concetto.

 Ma tant’è che continua a dirlo, e se lo rivendica pure. È sempre il solito.

 Vedere il Vecchio alla televisione che scarica casse d’acqua mi da l’ultima spinta. Guido a sorpresa in una domenica pomeriggio di un Autunno freddo come i migliori Inverni. Troppo traffico mi tiene ancorato alla noia della quotidianità. Alienante.        Ho bisogno di spaccare. No, forse no. Ho bisogno di crescere e maturare, di vivere con forza e serenità questa esperienza a cui vado incontro. Me lo ripeto mentre guido.

Come fosse uno stupido mantra di quelli della psicologia da strapazzo americana.     E non sono ancora lì. Non ne ho paura. Non ho paura di vederli, non ho paura di conoscerli. Non penso a nessun tipo di dolore.

Arrivo in piazza insieme all’altro Vecchio che mi prende sottobraccio.

Rincuorante.         

Sono tanti, tantissimi, sicuramente un migliaio. Uomini e donne, bambini e bambine. Parlano in curdo, ma anche in tedesco, inglese e francese. Arrivano da tutta Europa. Stanno cantando e ballando. Slogan continui. La piazza sembra ribollire. Ma senza timore di esplodere. Ci siamo solo noi. I proletari delle case occupate hanno organizzato gazebo e cucine da campo con tè, biscotti e panini. Mangiamo solo noi. I compagni Curdi sono in sciopero della fame. Già da ieri. Montiamo un palco mentre continuano ad arrivare vestiti pesanti e coperte. Domani porterò le coperte e i cappotti che sono rimasti dall’ultimo mercatino popolare dell’usato. C’è bisogno di medicine.  Insieme al Capo, Ciccio e Ludovica corro a prendere quelle che ho in auto, da tempo pronte per la spedizione per Cuba. Le facciamo selezionare dagli infermieri della Croce Rossa. Non mi fido di loro. Hanno sguardi annoiati. Si vede che non gliene frega niente dei Curdi. Sono qui per lavoro, e basta. Per me non sono poi così diversi dai loro colleghi che più di cinquant’anni fa aiutarono i nazisti a scappare dalla Germania. La trasmissione culturale funziona bene per loro, purtroppo.

Ci siamo solo noi.

Non c’è la Caritas, non ci sono le istituzioni, tantomeno i partiti. Non ci sono le associazioni del cosiddetto mondo dell’associazionismo. Stanno su un altro pianeta, appunto.

Ci siamo solo noi. Tutti.

Rivedo tanti vecchi compagni che erano tornati a casa dalla nostra piccola guerra di questi anni. La situazione è forte. Ci contiamo. Sappiamo di ritrovarci per qualcosa di storico.

Una piccola storia, d’accordo. Lo sappiamo perfettamente che non smuoverà nulla sul terreno del conflitto sociale, dell’autorganizzazione proletaria. Anche perché quasi nessuno la chiama più così. Neanche fra di noi veri irriducibili.  Ne siamo coscienti. Ma.

Da troppo tempo però non si vedeva una cosa del genere in questa città. In questo strano e vecchio quartiere, ormai da anni cancellato come tale, spunta un po’ di solidarietà. Non si verificano atti d’intolleranza e questo è già tanto, ma addirittura si va oltre. Bar e ristoranti che vengono trasformati in sedi per riunioni e conferenze stampa. Volantini e adesivi affissi sui portoni e nei negozi. Romani che si affacciano per curiosità e iniziano ad aiutarci. Roba da non crederci.

Apo ! Apo ! Apo ! Come fosse un ritmo continuo. Mai ossessivo.

Kurdistan libero ! Kurdistan libero ! Ci uniamo noi.

La polizia sta a guardare. Il Celio è assediato. Questo piazza diventa subito un simbolo. Buca tutti i video del mondo. Spacca le radio del pianeta con la sua voce. Un popolo prende finalmente voce come non aveva mai fatto prima; operai curdi sparsi per le metropoli della vecchia Europa manifestano con rabbia e coscienza.

Il tentativo di genocidio operato dalla Turchia con il consenso silenzioso delle Potenze Occidentali non ha cancellato l’identità del popolo Curdo che oggi, forte e  combattivo, costringe tutto il mondo ad ascoltarlo !

Non ci esaltiamo. Non ci piace il modello organizzativo del PKK. Il partito dei lavoratori Curdi. Vediamo troppo culto della personalità nell’adorazione verso Apo Ocalan. E su questo anche se da un altro punto di vista, giornali e politici hanno molte cartucce da sparare. Ma non permettiamo speculazioni. Il punto è un altro: fermare la guerra che la civilissima Turchia, membro N.A.T.O. e prossimo membro della società per la disoccupazione e la povertà, meglio conosciuta come Unione Europea combatte da sempre contro il popolo Curdo. Prima di tutto fermare la armi turche e impedire al Governo Italiano di consegnare Ocalan alla Turchia. Boicottare le imprese italiane che investono in Turchia. I soldi delle armi che uccidono i compagni e le compagne dei Curdi di questa piazza escono anche da lì.

Così ci organizziamo. Si prepara il grande corteo di martedì, altre migliaia di Curdi arriveranno da tutta Europa. Bisogna accoglierli.

Dopo mezzanotte.
Non sento più il freddo iniziale. La notte ci accoglie senza aspettarla. È più veloce di noi. Io continuo a bere un tè che diventerà mito, non si sa se per la quantità o per il sapore, così strano. Il tè curdo.

Tu invece mi chiedi di andare a bere una Guinness, io preferirei restare in piazza e vederci dopo. Mi convinci, senza eccessivo impegno. Preferisco non dissentire, da un po’ di tempo a questa parte. Non ho mai voglia di impegnarmi nelle discussioni. Non do’ più battaglia. Per questo vengo a dormire da te.

Appena una settimana dopo.

Sentivo che non avrei mai dovuto andarmene, sapevo che sarebbe durata poco. Appena una settimana. Meno di quello che sperassi. Troppo poco rispetto ai miei bisogni. Troppo rispetto alle nostre forze materiali. Appena un corteo. In diecimila. Con poca voce. Loro vogliono aprire la strada diplomatica. Ci capiamo poco. Nulla di nuovo sul fronte occidentale e neanche su quello orientale. Nulla di nuovo da scrivere. Quindi risparmio le parole.

Tutto torna come prima, prima della Piazza.

 Maurizia mi ha detto dell’apposizione della targa. Corro a vederla. In un metropolitano sabato notte, appena una settimana dopo la fine. Fa freddo, ancora. Io Flavio e Antonella fumiamo una sigaretta e la salutiamo a pugno chiuso.

Piazza Kurdistan per sempre

pubblicato sulla rivista "Storie – idee idiozie idiomi" edizioni "Oppure" Roma, inverno 2000

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3 Responses to piazza kurdistan

  1. marina says:

    molto bello. Mi piace la voce narrante, appassionata e insieme realista.
    La fine è commovente
    sei davvero bravo, marina

  2. Marco says:

    Ma quando mai ho fatto un commento del genere?..Ti pare che posso definirmi una “comparsa”!, il giornalaio, quello del bar che te fa il cappuccino e’ una comparsa..a me sembra semmai una vecchia critica fatta al tempo suo..quando ancora mi sentivo al lato del palcoscenico della vita..quindi questo commento mi suona di tentativo di prova scritto da te per vedere se i commenti funzionano..ma se usi il mio altisonante cognome la s almeno falla maiuscola!!

  3. staiano says:

    è un racconto bellissimo! complimenti capocce’! e sono molto felice di essere una comparsa fra le tante di questo coro bellissimo che è la tua vita!!

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