Da “Scontri di piazza”: a Nando, il Presidente !

Nando incede con il suo passo incerto. Mi sembra sempre più vecchio che mai il Presidente da quando lo conobbi in quel bellissimo pomeriggio d’inverno nella sua casa di viale Marconi.

Fu un onore. Anche se Nando non amava l’uso di questa parola, e in fondo e in fondo neanche io, ma a quei tempi l’influenza della Curva Sud era ancora forte in me e mettici pure tutti i discorsi sull’onore e la vendetta che me ripeteva Antonello. Insomma sì, alla fine fu un onore.

 

I compagni dell’Antico Molo mi parlavano di Nando da mesi, me ne parlavano come di un mito, un compagno intelligente e saggio, risoluto, che negli anni belli dello scontro autonomo de classe aveva diretto alla grande intere compagini di compagni senza mai perdere lucidità.

Uno che qui nel quartiere e in tutta Roma era rispettato come pochi.

Mi ripetevano che presto o tardi me lo avrebbero fatto conoscere e che lui m’avrebbe raccontato cose che loro stessi avevano saputo dai suoi racconti. Anche se mi dicevano: non ti illudere. Nando non è coatto come noi. Lui è il Presidente, c’ha un altro modo di vedere la vita e la politica.

E così fu.

Quell’incontro fu bellissimo e semplice, Nando fu gentile e alla mano, pur essendo un pezzo di storia del movimento romano di fronte a un ragazzino esaltato e con brufoli e occhialoni come il sottoscritto. Fin dal primo incontro ti sapeva mettere a tuo agio e ti trattava con lo stesso rispetto e affetto che tu portavi a lui. Ma se dicevi una stronzata ti fulminava con una battuta e ti spiegava, con il raro dono della sintesi che lui come pochi aveva, perché e dove avevi sbagliato.

Poi chissà le fregnacce che gli aveva raccontato Antonello su di me in quei mesi che precedettero il nostro incontro. Infatti mi mise in imbarazzo come solo lui sapeva fare.

Ma fu un pomeriggio bellissimo, che ricordo ancora oggi come fosse ieri.

Imparai subito da Nando. E l’ho fatto sempre.

Perché da Nando c’era solo che da imparare.

E basta.

 

E anche oggi Nando è qui.

Per darci forza e coraggio. Per mettere la sua lucida esperienza al servizio di tutte e tutti noi.

Perché è arrabbiato, ovviamente.

Non gli sembrerà vero di vedere una cosa del genere, lui che esattamente vent’anni fa i fascisti li aveva cacciati dalla borgata.

Lui che c’era quando i compagni chiusero alla grande la storica sezione del Msi, una delle tante di cui fino alla metà degli anni ’70 i quartieri proletari e popolari erano pieni, fino a che l’antifascismo militante non mise fine alla tolleranza dell’antifascismo istituzionale.

Il mitico e vecchio Comitato Proletario di via Monte delle Capre.

Di cui tanto ci ha parlato. Fu quello che insieme ad altre realtà della sinistra rivoluzionaria di allora chiuse i giochi coi fascisti in borgata.

Ora, si son riaperti.

E non solo qui ma in tutta la città.

In tutta Italia.

E in un modo impensabile vent’anni fa. Son andati al governo democraticamente eletti.

Assurdo per Nando.

Per i compagni della sua generazione e per quelle immediatamente successive.

Ma forse un po’ meno assurdo per la nostra generazione di compagni, che i fascisti li abbiam visti crescere e moltiplicarsi e che oggi ce li ritroviamo addirittura al governo insieme a leghisti, berlusconiani e un pezzo di democristiani della diaspora.

Una cosa da romanzo di fantapolitica, dicono alcuni.

Ma ora è il nostro terribile presente.

Dove fra l’altro, tutti i gruppi e gruppuscoli alla destra, o alla sinistra (dipende sempre dai punti di vista) del MSI, si muovono con una incredibile agibilità politica concessagli dal governo e da un pezzo di opposizione di sinistra sempre più rifardita.

 

Ma Nando è qui, a darci man forte. A parlare con quelli che ai suoi tempi si chiamavano i proletari del quartieri e che noi, in questo cazzo di postfordismo di merda, non sappiamo più come chiamare.

Noi compagni vetero continuiamo a chiamarli così. Li nominiamo così anche sui nostri volantini e sui nostri manifesti.

Usiamo ancora mettere la falce e il martello, addirittura, sui nostri manifesti e volantini. Ma siamo fra i pochi compagni del movimento a farlo. E sappiamo che molti, i postfordisti, si prendono gioco di noi, alle nostre spalle. Perché i tempi son cambiati, non è più tempo di fordismo.

E bisogna adattarsi ai tempi che cambiano.

Come se Roma, e noi di conseguenza, fosse mai stata una città fordista.

A cagare! Intellettuali di sinistra di mmerda e compagni neoriformisti.

Noi, ancora parliamo di rivoluzione.

Magari a bassa voce….

This entry was posted in General. Bookmark the permalink.