Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
Mi sono appena iscritto alla nuova scuola.
Neanche tre giorni che sono iscritto e già sciopero.
Arrivo in piazza praticamente da solo, con gli altri del mio gruppo ho appuntamento proprio sotto questo Mc Donald di merda, che spero un giorno devasteremo definitivamente.
Non come l’anno scorso, quando dopo neanche un giorno aveva già riaperto.
Sono qui con mezz’ora di anticipo.
Incontro quella stronza della Lo Bianco. Si proprio lei, quasi non ci posso credere nel vederla qui. La professoressa dei Cobas che mi ha bocciato a settembre, impedendomi di fatto di riscrivermi alla mia bella scuola del ghetto. Costringendomi a emigrare in una bella e autoritaria scuola del centro. Un brutto segno incontrare la Lo Bianco. Ho pure indossato la mia camicia porta sfiga, un altro brutto segno.
Forse, avrei dovuto capirlo che le cose sarebbero andate male…
Lei mi saluta.
Io la guardo male e le giro le spalle.
Avrei dovuto mandarla affanculo?
Forse picchiarla?
La mia maledettissima parte buona di cuore emerge sempre in queste situazione e mi impedisce di essere cattivo, spietato. Come dovrei, vorrei.
La piazza si sta riempiendo. Sarà una giornata tosta, si sente nell’aria. Bandiere dei Cobas e degli altri sindacati di base. Ci sono pochi autonomi. Ma dove stanno mi chiedono gli altri. Già, dove stanno mi chiedo anch’io. Una parte dei miei compagni autonomi è qui con me, gli altri sono in piazza. La nostra struttura è divisa in due. Ma gli altri ?
Boh…
Noi comunque ci prepariamo, al meglio.
Oggi sarò responsabile del servizio d’ordine degli studenti medi autorganizzati, che cazzo! Che cosa ridicola. Di cui però ne vado comunque orgoglioso. Che stupido vanitoso che sono, lo so.
Dell’ex mitico servizio d’ordine dell’autonomia romana non si vede neanche l’ombra. Noi schieriamo il nostro, al meglio.
Le barricate chiudono le strade ma aprono le vie. Questa vecchia scritta campeggia sul muro. Fatta e rifatta mille volte. Non sappiamo che ci chiuderanno a noi dentro una via, un quadrato perfetto, da cui usciremo solo sanguinanti.
Quello che ci aspetta ancora non lo sappiamo. Di fatto non abbiamo ancora girato l’angolo, non siamo ancora su via Merulana.
Partiamo.
Attraversiamo Piazza della Repubblica e giriamo lentamente l’angolo largo con Via Cavour. Ci muoviamo lenti come un pachiderma, dobbiamo tenere il nostro spezzone che mai come oggi è immenso. La cgil è davanti a noi. E dietro, e ai lati, ovunque. Ci controlla e ci reprime senza ancora muovere un dito. Pero ora siamo tranquilli.
Parte la carica cazzo!
Non capisco perché, nessuno di noi la capisce, ma parte la carica.
Il servizio d’ordine della cgil è sveltissimo, tirano fuori dal furgone decine di Stalin, senza neanche uno straccetto rosso attaccato sopra. Prendono a bastonate i compagni in ordine sparso che sono davanti a loro e quelli che gli si fanno sotto.
Si apre un varco, subito. Una piccola terra di nessuno.
Che resta tale.
Brutto segno.
Noi siamo qualche metro indietro, l’onda del contraccolpo che di solito travolge uno spezzone, se non l’intera manifestazione, dopo una carica, non arriva. Restiamo compatti, serriamo i cordoni, aumentiamo gli slogan e cerchiamo di non far scappare nessuno dalle nostre fila, neanche i ragazzini, neanche quelli che sono dieci cordoni dietro. Noi siamo il primo cordone adesso, subito dietro lo spezzone della cgil. I compagni sparsi dei cobas e dei centri sociali che erano di fronte a noi non si vedono più.
Cazzo!
Che fine hanno fatto ?!
Avanziamo ancora, il corteo, immenso, lunghissimo, prosegue.
Slogan, scritte sui muri contro Amato e il sindacato, contro la polizia e il Pds. Tanta rabbia, la situazione è tesa ma si va avanti, Guardati a vista dai mastini della Cgil.
Noi autorganizzati siamo migliaia, loro altrettanto.
Superiamo compatti e preoccupati la Basilica di Santa Maria Maggiore ed entriamo in via Merulana.
Scatta la trappola.
Dietro di noi la Cgil fa il vuoto e lascia entrare compatta la Digos e polizia e carabinieri in mezzo al corteo. File di sbirri alle nostre spalle e davanti a noi. Ci hanno spezzato, cazzo!
Ingenui, non siamo riusciti a capire quello che ci preparavano contro. Non avremo potuto comunque evitarlo, penso nella mia testa. Siamo solo studenti medi. Gli universitari e i centri sociali son tutti a Piazza San Giovanni a dar battaglia al palco dei sindacati.
Quei pochi che erano fra noi, a guardarci le spalle, son spariti. Cazzo.
Tira una brutta aria.
Do’ ordine di dividere il cordone a metà, far sfilare gli studenti dietro di noi e ricompattarci alle loro spalle, davanti alla polizia.
Cosa difficile da fare, per chiunque, figurarsi per tanti di noi con poca esperienza di servizio d’ordine. Urlo, urliamo. Gridiamo tutti così tanto che gli altri studenti, i nostri studenti, impauriti di per sé dalla situazione, seguono alla lettera le nostre indicazioni e avanzano veloci. Dietro di loro veloce arriva la polizia. Scattiamo, in un attimo di follia e rabbia e determinazione. Chiudiamo il doppio cordone di servizio d’ordine. Rimediamo qualche manganellata a cui rispondiamo con un po’ di calci e spinte. Ma senza rompere il cordone. Teniamo. Il cordone tiene e lo spezzone nostro, ora si tutto nostro si ricompatta. Fottute guardie e sfottuta cgil, non ci avete ancora spezzato del tutto.
La digos ora però è alle nostre spalle. Forte di centinaia di celerini e blindati che la proteggono. Senza mediazioni e senza nessuno a coprirci le spalle.
Noi siamo l’ultimo cordone, quello che dovrà tenere la carica.
I digossini son fomentati, ci prendono per il culo, ci ridono alle spalle, ci insultano, ci provocano.
Noi non rispondiamo, siamo superiori…
Continuiamo con i cori e cerchiamo di aumentare la marcia per arrivare in piazza prima possibile, per unirci ai nostri fratelli maggiori, gli autonomi.
Siamo rallentati davanti, da svariate file di carabinieri.
La visione è imponente. Siamo uno spezzone di migliaia di studenti, compresso da carabinieri e polizia.
Gli uomini della Cgil sono davanti e dietro gli sbirri, e ai lati in ordine sparso. Pronti a dar man forte alle guardie.
Parte la prima carica di alleggerimento fatta solo ed esclusivamente dalla Digos. Ci assaggiano, per così dire.
Son tutti in borghese, alcuni eleganti e altri sportivi. Non vedo donne fra loro. Sono un centinaio. Casco in testa e manganello in mano attaccano il nostro mega doppio cordone. Abbiamo i caschi ma pochi bastoni. Ci spezzano in due, tre, quattro parti. Ma riusciamo a restare in piedi.
Faccio partire un fortissimo “Digos boia!”. Reagiamo con la voce, calci e pugni. Ma è poca roba di fronte alla loro forza.
Per fortuna non affondano con la carica.
Ci lasciano reagire, ci hanno solo assaggiato.
Ci riorganizziamo, riformiamo il cordone e ci giriamo verso di loro.
Marciamo all’indietro quindi. Per guardarli in faccia e insultarli anche noi, vada come vada.
Invito tutti a resistere, la carica sta arrivando ma dobbiamo tenere il cordone per non proteggere il nostro spezzone. Ci sono studenti giovani e inesperti grido, dobbiamo proteggerli, cazzo!
Partono i lacrimogeni ad altezza d’uomo e di donna, ad altezza studente, per la precisione.
Uno mi prende alla coscia, di striscio. Ma non solo il solo ad essere colpito. La Digos si apre e fa passare i blindati e la celere.
Ci travolgono e ci mandano a terra come birilli, cazzo.
Il nostro condone è frantumato, disperso. Non vedo più nessuno.
Crollo sopra un gruppo di ragazzine che urlano mamma, e piangono.
Senza retorica, ancora oggi posso sentire le loro voci nelle mie testa, e i loro volti pieni di sangue e lacrime.
È una mattanza. Ci massacrano senza pietà, ovviamente.
Non mi sono fatto niente, cazzo! Lasciatemi andare su! Grido a Marilù e al Teschio. Dopo aver vomitato acido riesco a rialzarmi e a vagare fra la nebbia dei lacrimogeni. Altro che Avalon…
Devo ritrovare gli altri, dobbiamo riformare il servizio d’ordine e andare in piazza, cercare una vendetta a questa infamia, a questa trappola della cgil, cazzo! Questo grido al Teschio e ai pochi che vedo distrutti davanti a me.
Mi tocco la testa e c’ho un mucchio schifoso di sangue e capelli e terra fra le mani. Cazzo, mi hanno rotto la testa, penso.
Marilù e il Teschio mi costringono a salire sull’ambulanza, che è un po’ la mia salvezza…la digos sta arrestando un po’ di gente e visto che mi avevano già puntato tornano alla carica. Arrivano due infermiere dell’ambulanza ma sembrano titubanti, sembrano più giovani addirittura di me, e sicuramente di cariche ne hanno visto meno del sottoscritto. Per fortuna mi salva un cazzo di infermiere baffone, che potrebbe ricordarmi il Vecchio dei tempi d’oro. Mi fa cenno di accasciarmi e mi prende sottobraccio, mi fa salire sull’ambulanza, chiude svelto le porte e via, accendono le sirene.
La foto è pubblicata da pochi giornali, pochissimi.
Fulvio Vento è a cena coi suoi uomini in un noto ristorante della capitale, tanto offre la cgil, orgoglioso delle botte che hanno dato a tanti ragazzini e tante ragazzine.
Mentre gli altri suoi sbirri scappavano lontano, in un’altra piazza di fronte alle cariche degli autonomi.
Ramingo
questo è come un pugno nello stomaco. E poi ha un ritmo fortissimo.
mi è piaciuto moltissimo e non per ricambiare i complimenti! 🙂
ciao, marina