L’Ospite inatteso

E’ un film strepitoso! Intelligente, sensibile, dolce, spietato..
E’ la storia di un un uno un professore universitario di economia,
rimasto vedovo, che insegna ormai svogliatamente e vive monotonamente
in una cittadina del Connecticut. Quando di malavoglia accetta di
sostituire un collega a una conferenza a New York, scopre che il suo
appartamento, da tempo disabitato, è stato affittato con l’inganno ad
una giovane coppia, il siriano Tarek, che suona il djembe in un gruppo
jazz, e l’africana Zainab, disegnatrice di gioielli. Dopo la sorpresa
iniziale, Walter invita i due a restare, almeno fino a che non
troveranno un altro tetto, e inizia con Tarek un’amicizia nel nome
della musica. Ma un contatto incidentale con la polizia, in
metropolitana, fa finire Tarek, immigrato irregolare, in un centro di
detenzione nel Queens. L’arrivo della madre del ragazzo, Mouna, rinnova
l’impegno e l’affetto di Walter per Tarek ma il suo fermo assume sempre
più i connotati della prigionia.
L’Ospite inatteso ruota attorno alla figura di Richard Jenkins, un
classico uomo ordinario che fa economia sulla propria vita, cercando di
restare legato al passato attraverso il pianoforte per cui non è
portato, salvo scoprire accidentalmente di avere un cuore che batte
ancora, al ritmo di un tamburo africano. Semplice e diretto sarà il
tuffo nella musica dei tamburi africani del protagonista e geniale ci
appare la scena del parco, dove la musica unisce i popoli mentre la
paura li divide…
Ma il concerto è ancora agli inizi che già deve lasciare il posto allo
sconcerto, di fronte al trionfo dell’ordine e dei suoi burocratici
esecutori.

Per tutto il film si respira un forte senso di lutto necessario a
raccontarci i protagonisti: il professore, i migranti clandestini, la
madre del ragazzo siriano Tarek, rimasta vedova anche lei, e
soprattutto il concetto di accoglienza e di libertà che l’America si
diceva orgogliosa di incarnare. Un concetto ormai morto e sepolto… Ad
Ellis Island, dove si passava per diventare cittadini, ora si passa per
essere schedati, trattenuti, rispediti al mittente. Non è più tempo di
parlare di “green card” in chiave di commedia, ma è sempre tempo di
portare la macchina da presa nelle strade e di mostrare la città quale
è. Un enorme luogo di schedatura, controllo, spedizione al mittente…
Il regista ha fatto un film civile e personale, politico e culturale,
delicato e intelligente. Gli attori sono bravissimi e la sceneggiatura
è perfetta: cosa rara di questi tempi.
I suoni dei tamburi africani sono la perfetta colonna sonora ossessiva e ben ritmata delle emozioni che ci trasmette il fim.
Da non perdere, assolutamente!!!

mi ha convinto definitivamente a comprarmi un bel Djambé… evoluzione
raffinata e adulta del tamburo che suonavo nel commando ultrà..

This entry was posted in Recensione Film. Bookmark the permalink.