Recensione di Marina Pierani al mio libro “Non dimenticare la rabbia”

Il libro di cui voglio parlare oggi è un libro particolare perché ci
porta dentro un mondo che conosciamo poco e comprendiamo meno. Il mondo
della rabbia giovanile e delle sue diverse espressioni. Il mondo delle
strade disadorne delle periferie, delle piazze "calde", dei treni
speciali per le trasferte calcistiche, quel mondo emarginato che si
autoemargina in risposta e costruisce da sé la sua stessa
rappresentanza, rifiutando qualsiasi mediazione.

Sono 12 racconti,
di qualità diversa ma tutti molto coinvolgenti. Quelli più belli sono
quelli dove prevale il ritmo e il tempo è un accavallarsi di azioni.
Raccontare
il movimento non è facile ma l’autore lo fa benissimo. Ci si sente
immediatamente presi e trascinati nell’ azione assieme ai protagonisti.
Trascinati dove? Intorno agli stadi, in curva, nei cortei e nelle
azioni dimostrative, nelle spedizioni punitive contro i fascisti, negli
scontri con la polizia, sempre all’assalto…
All’assalto di che cosa?
Del mondo così com’è: ingiusto, piatto, uniforme, escludente. Violento.
E
la violenza del mondo viene inghiottita dal protagonista del libro e
risputata in risposta perché gli appare la più appropriata, l’unica
anzi che non sia stata plasmata a immagine e somiglianza del potere
stesso che lui contesta.
Per amare queste storie bisogna
rinunciare a stare fuori dai gruppi che si muovono sulle strade,
rinunciare a guardarli da fuori. Cercare invece di tenersi il più
possibile stretti a questi ragazzi, in linea con loro, come direbbe il
protagonista con il suo linguaggio militare.
Visti così da
vicino gli ultras, gli autonomi, i militanti a sinistra di tutte le
sinistre, gli antagonisti " a prescindere", tutti i giovani arrabbiati
dei centri sociali e delle periferie, si scoprono pieni di "valori"
forti. L’amicizia, il coraggio, la solidarietà tra compagni, la lealtà
nello scontro, la fedeltà alla parola data, il disprezzo per i
compromessi. Se ne scopre anche la paura e la capacità, tutta
giovanile, di stupirsi per il mondo e i suoi sprazzi di bellezza.
Sentirli
vicini fa quasi paura perché quella massa confusa di alienazione e
ribellismo sembra un’onda destinata a travolgere tutto. Anche la nostra
incomprensione. Io però temo che in molti casi la società si sia già
incaricata di travolgere loro o meglio di renderli comparse nella sua
rappresentazione della realtà.
Nessuna lettura giornalistica
o sociologica può dare, né mai mi ha dato, come questi racconti, il
senso del mondo delle tifoserie organizzate e delle loro parole
d’ordine: l’odio, la vendetta, la disciplina, il rispetto delle
gerarchie, l’orgoglio di appartenenza. Ma nello stesso tempo mi ha
trasmesso la sensazione netta del terribile spreco di energie giovanili
e slancio vitale che queste forme di ribellione violenta rappresentano
e della assoluta necessità che ci sarebbe di riportare sul terreno
della battaglia sociale i giovani che viaggiano nelle nostre città
armati solo di rabbia e bastoni. Per me è impossibile leggere di questo
mondo violento e autoreferenziale senza pensare che è il prodotto di
altrettanta violenza e autoreferenzialità, e che quella necessità di
impegno politico resterà senza risposte. Al breve e, temo, ancora a
lungo.
Per queste riflessioni, oltre che per il suo bel narrare, sono grata all’autore.
 
tratta da: 

http://ineziessenziali.blogspot.com/2009/12/il-segnalibrosei.html

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