Recensione di “Katacrash” di Fabrizio Gabrielli

Personaggio affascinante Gionata…

Con lo sguardo fisso sulla realtà che
lo circonda, pronto a cambiarla, anche a cazzotti se necessario, pur
di viverla a pieno.

Uno che passa dai margini al centro e
di nuovo ai margini senza soluzione di continuità ma anche con
l’impossibilità di dimenticarlo…

Gionata fa parte di una storia di cui è
difficile trovare traccia perfino nei meandri della solita
letteratura undergound e un po’ piaciona che dai tempi dei cannibali
imperversa ammiccante verso una fetta dei lettori e delle lettrici
italianie. Una storia che vive alle periferie delle periferia.

Nata e morta e sepolta mille volte.

Cazzo.


La storia di un gruppo di amici
all’ultimo anno di scuola, quello in cui da mesi si è autoinvasi da
notte prima degli esami di quel coglione di Venditti.

E’ una storia di rap e hip hop che però
non vi starò a raccontare qui in poche parole.

Troppo facile e troppo difficile allo
stesso tempo, cazzo.

Ma come si può raccontare un libro in
poche righe?

Non si può e basta.

Ma si può dire perché vale la pena
leggerlo.

Beh perché…


A quei tempi il rap e l’hip hop li
odiavo.

Ero un militante duro e puro di 18 anni
suppergiù che non sopportava questa invasione dei centri sociali
(che noi chiamavo spazi di lotta per i proletari! Pensa un po’…) da
parte di tutti questi gruppi hippoppari del cazzo! Dalle posse ai
pischelli del quartiere mi sembravano tutti una scopiazzatura dei
gruppi americani. Di cui conoscevo e ascoltavo solo Public Enemy,
perché erano i più famosi e soprattutto perché erano cattivi e
militanti…

In effetti non odiavo il rap e l’hip
hop, che oggi ascolto con piacere sempre più spesso pur non essendo
un esperto… ma odiavo tutti coloro che svuotavano di senso i nostri
spazi di lotta per riempirli di slogan rimati a cui non facevano
seguire azioni ma solo contratti…


Oggi apprezzo quindi moltissimo questo
libro che racconta di esami di maturità in odio a Venditti e gite a
Parigi, di hip hop e amicizia, della Santa Ganja di Kingston e di
sogni subito infranti…

e per farlo apprezzare anche a voi mi
trovo per forza di cose a citare l’intera quarta di copertina:


"Noialtri si è vissuta l’epoca
pioneristica del rap italico.

Noialtri si è stati nella zona d’ombra
larga, imperscrutabile, che s’estendeva fra un Militant A pompato nei
centri sociali, monocorde e pure un po’ palloso, ed i Sottotono che
imperversavano su emtivvì e giravano ad heavy-rotation ad ogni
juxebox.

Quando ci stavo dentro noi, Mondo
Marcio stava ancora a combattere con lo psicanalista chiuso dentro a
una scatola, bro.

Noialtri s’è vista La Pina quando le
piovevano addosso angeli, quella delle Spice Girls quando le
piovevano addosso uomini, Jovanotti quando gli pioveva addosso e
basta.

Noialtri, per dirla tutta quando si
faceva il rap lo si faceva pure molto bene.

Però, erano meglio i Sangamaro.

Gionata avrebbe fatto di
quest’affermazione il suo cavallo di battaglia.

Anche se di Gionata, che ci crediate o
meno, c’era stato un periodo in cui non intuivamo nemmeno
kintanamente l’esistenza".


Per chiudere vi segnalo che in terza
pagina viene citata la famosa frase "Avevo vent’anni. Non
lascerò dire a nessuno che sia l’età più bella della vita"
(Nizan, Aden Arabie).

E la cosa mi ha fatto riflettere sul
fatto che per quanto venga usata questa frase con un fine di
ribellione verso il mondo degli adulti e del sistema in generale..beh
mica è tanto vera.

Oggi, che ne ho quasi 37, dico che si
cazzo, era davvero l’età più bella della vita

O no, Gionata??


Marco Capoccetti Boccia

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