Utopie resistenti

Recensione de "Non dimenticare la rabbia" di Giacomo Russo Spena

da "Il Manifesto" Roma, 20/02/2010

 

«Riusciamo ad avere un breve contatto con questi stronzi che iniziano a
gridare “Boia chi molla è il grido di battaglia”. Sono quei bastardi
fascisti del Commandos Tigre. Bene. Mi infiammo ancor di più mentre i
nostri nazi si fermano, quasi sorpresi di trovarsi di fronte a
milanisti camerati. Erano convinti di trovare zecche del Leoncavallo
aderenti alle Brigate Rosso Nere e alla Fossa dei Leoni. Invece niente
compagni ma solo poche decine di ultras fascisti». E giù botte.

Per
vendicare l’uccisione di Antonio De Falchi, romanista, morto nell’89, a
diciannove anni, dopo un’aggressione dei tifosi milanisti. Il racconto,
un po’ romanzato, della vendetta giallorossa a Milano, dell’anno
successivo, è vista dagli occhi di un ragazzo «ribelle», di borgata,
che in quel momento odia i camerati dei Commandos Tigre. La stessa
rabbia porta il giovane a scontrarsi con la polizia in manifestazioni
del movimento studentesco o in difesa di Ocalan, allora «ospitato» in
Italia, o durante un picchetto antisfratto nella sua Magliana
(periferia sud della capitale) o a picchiarsi con i fascisti dopo la
riunione nel proprio centro sociale.

In totale sono 12 storie di stadio
e piazza che danno vita al libro Non dimenticare la rabbia di
Marco Capoccetti Boccia. L’autore, al suo primo lavoro, vuole
raccontare un decennio, quello che va dall’89 al ’99, dimenticato o
comunque non narrato dall’interno. Lo fa usando il linguaggio ruvido
della strada, descrivendo scazzottate nei dettagli, i volti coperti, le
bastonate, le sassaiole contro la celere. Ma l’estetica dello scontro
non è fine a se stessa: si parla di utopie resistenti, di giovani a
loro modo ribelli e di resistenze diffuse. «Anche la letteratura
indipendente e underground – afferma lo scrittore – si è soffermata
principalmente sui movimenti negli anni ’70 e ’80 o sul popolo
no-global successivo a Seattle. Nel mezzo c’era un gap che ho voluto
colmare».

Parlando di protagonisti dimenticati e messi nell’ombra. Ne
esce un libro vivace, scorrevole nella lettura, capace di incuriosire
chi quegli anni non li ha vissuti o li ha solo sfiorati. «Un bombone
viene fatto esplodere dentro la sede della compagnia aerea turca. Il
botto rimbomba paurosamente in tutta la piazza. Esplodiamo di gioia!
Iniziamo a gridare ‘Kurdistan libero’ a squarciagola, e per un attimo
sembra che tutta la piazza ci venga dietro, in migliaia gridano insieme
a noi…», racconta il brano sugli scontri a Roma per protestare contro
la svendita di Ocalan del governo D’Alema. La storia più
veritiera.
Perché molte altre sono romanzate, partono da spunti reali
per poi dar spazio alla fantasia: i feroci scontri tra gli elfi (sic) e
la polizia avvengono nel cimitero Verano, gli agenti sparano. Come
avvenne al funerale di Valerio Verbano. Infine, qualche pillola è
inventata di sana pianta: è il caso, ovviamente, degli attivisti che
prendono il Quirinale, dopo un assalto, e fanno sventolare la bandiera
rossa dal palazzo. La famosa canzone Comunisti sulla capitale, intonata
nelle piazze per generazioni, docet. «Ho voluto estrarre i racconti
dalla realtà – spiega Capoccetti Boccia – Per far sognare e
impersonificare maggiormente i lettori». Ne esce un ibrido, dove a
volte non si capisce quando termina la cronaca e comincia la fantasia.

Il libro, che è la raccolta di 15 anni di narrazioni dell’autore,
alterna episodi di ribellismo politico a quelli di tipo teppistico
negli stadi: la composizione della curva romanista alla fine degli anni
’80, però, era molto differente da quella attuale, poche erano le
presenze fasciste. Per lo scrittore, all’epoca, gli ultras
rappresentavano veramente un movimento di contestazione: «Sciarpe
nascoste, passo veloce, cinte alle mani. Nessuno di noi ha più di
vent’anni, di cui almeno due passati a fare gli scontri allo stadio o
nelle strade. Non accettiamo compromessi. Né con la società, né con i
capotifosi ormai omologati. Siamo noi il futuro della curva», così
recita una delle parti finali del libro.
La storia è andata
diversamente, tanto che l’autore non frequenta più il mondo ultras e ne
parla con distacco. Rimane la speranza di ribellione delle nuove
generazioni: caparbie nello scontrarsi contro il conformismo nelle
strade, nelle periferie e, anche, negli stadi.

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