“Scontri di piazza” a Pisa!

Venerdi 9 Novembre ore 18 all’Università di Pisa

Presentazione de “Scontri di piazza”, di Marco Capoccetti Boccia, Lorusso Editore

+Mostra e Presentazione del percorso “Letteratura & Conflitto”
A seguire aperitivo con proiezione immagini “WorldRiots24/h” &  DJ Set SIGNOR K + HipHop & D’n’B & Dubstep
organizzata dal Collettivo Universitario Autonomo

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22 Ottobre 1980: apposizione della lapide in ricordo di Valerio Verbano in via Monte Bianco

 

Il 22 ottobre di trentadue anni fa, a 8 mesi dal suo infame assassinio, veniva messa la lapide in ricordo di Valerio Verbano in via Monte Bianco  La lapide ove ogni 22 febbraio ci ritroviamo per ricordare Valerio, la sua lotta, che è anche la nostra lotta. La lapide ove dal prossimo 22 febbraio ci ritroveremo più soli, senza Carla. La lapide sotto quella casa che la regione Lazio ha chiuso e messo all’asta. La lapide più volte imbrattata, distrutta, da quegli stessi fascisti che parlano di rispetto per i morti…
La lapide rossa, protetta da due bandiere rosse ai lati.
Per non dimenticare.

Così ne scrivevo un anno e mezzo fa nel mio libro Valerio Verbano una ferita ancora aperta:

“Già il 22 ottobre 1980, a dieci mesi dall’assassinio, viene posta la lapide in ricordo di Valerio in Via Monte Bianco e organizzato un corteo cittadino con partenza da Piazza Capri. I compagni e le compagne di Valerio indicano sempre nei fascisti i responsabili della morte di Valerio, e nella Polizia l’apparato colluso che copre gli assassini.
I compagni di Valerio scrivono:

‘Nulla resterà impunito! Otto mesi fa i fascisti dei NAR assassinavano il compagno Valerio Verbano, militante comunista, avanguardia riconosciuta nelle lotte della zona Est. Sulla sua morte i vari servizievoli pennivendoli di Stato scrissero calunnie, infamie, nel miserabile tentativo di confondere le acque. Ma ci sono volute altre morti, altre stragi per costringere questo Stato alla verità e cioè che, in barba alla tanto decantata «vigilanza democratica», i fascisti si sono organizzati a vari livelli come veri e propri squadroni della morte. Questo era già chiaro al Movimento rivoluzionario all’indomani dell’assassinio di Valerio, che avveniva dopo una lunga serie di provocazioni fasciste a Roma.
I fascisti, approfittando dei livelli repressivi nei confronti dell’antagonismo proletario organizzato, hanno cercato di ritrovare spazi pubblici attraverso organizzazioni come Terza Posizione, mentre lavoravano a livello clandestino a rafforzamento di organismi come MPR e i NAR. Tutto ciò era da tempo noto al compagno Valerio, che svolgeva un capillare lavoro di controinformazione sulla «nuova» base di organizzazione fascista, sui collegamenti, sui finanziamenti, sui personaggi chiave e occulti del terrore nero a Roma. Proprio per questa sua capacità il compagno Valerio era diventato un obiettivo importante per i fascisti. Ma questo suo lavoro, il dossier diventato oggi tanto famoso, è stato la causa della sua morte soprattutto perché negli ambienti del Palazzo di Giustizia, dove si trovava sotto sequestro, è stata favorita la fuga di notizie. Ma la complicità diretta degli uomini dell’apparato di Stato con i fascisti è nota da troppo tempo per poterci sorprendere.
Le responsabilità precise degli uomini dei servizi di sicurezza, legati a noti personaggi politici, nell’attuazione della prima grossa strage di Stato a Piazza Fontana, ci hanno chiarito da un pezzo qual è il profondo concetto di umanità che caratterizza gli uomini del potere. Non pensiamo sicuramente che questo Stato mai e poi mai sarà disposto a mettere sotto accusa i suoi stessi uomini, spetta al Movimento rivoluzionario, al suo livello di massa, individuare quei personaggi che hanno permesso e indicato, nel caso di Valerio, la persona da uccidere. Ma non basta, questo Stato tanto pieno di marciume dentro di sé cerca attraverso tutti i suoi strumenti di propaganda di accomunare ancora una volta il terrorismo nero delle stragi, alla pratica antagonista del Movimento di lotta. Questa tesi tanto cara al PCI rispunta fuori puntualmente nelle invocazioni istituzionali contro la violenza, NAR e Autonomia Operaia sono una cosa sola: il gioco è fatto. Frantumare questo squallido tentativo significa porre completamente la costruzione del contropotere proletario, la maggiore quantità e qualità delle lotte e lo sviluppo dell’organizzazione di massa: significa, ad esempio, che spetta solo a noi, ai compagni, al Movimento rivoluzionario, la distruzione logistica, fisica e politica degli organismi fascisti.
Ricordare Valerio, al di fuori di ogni retorica, è continuare il suo lavoro interrotto dai suoi assassini, ribadire per noi compagni l’attualità sociale e politica del processo rivoluzionario contro questo Stato della crisi, nella costruzione, tra sconfitta e vittoria dell’alternativa rivoluzionaria.                                                                                                                                  Mercoledi 22 ore 16 concentramento a piazza Capri per mettere la lapide e corteo cittadino’

(Nulla resterà impunito, I compagni di Valerio, Volantone ciclinprop, Roma 18 ottobre 1980, c/o Centro di documentazione del Csoa “Macchia Rossa” Magliana, in Marco Capoccetti Boccia, Valerio Verbano una ferita ancora aperta, Castelvecchi Editore, Roma, 2011, pp. 294-295)

La notizia dell’affissione della lapide viene riportata anche dal giornale Lotta continua

‘Valerio Verbano. Oggi verrà affissa la lapide.

Ogi ci sarà l’affissione della lapide che ricorda il sacrificio di Valerio Verbano avvenuto 8 mesi fa. L’appuntamento è alle ore 17 in via Monte Bianco 119 (Valmelaina), ovvero sotto l’abitazione dei genitori di Valerio che furono involontari e atterriti testimoni dell’immondo assassinio di stanpo fascista, perpretrato dai Nar. La legittimità di questa iniziativa è stata più volte in questo mese ostacolata e impedita da parte della questura che ha dovuto ripiegare di fronte alle proteste del movimento di classe della zona est autorizzando l’affissione della lapide, ma vietando la manifestazione convocata a Piazza Capri. Questo divieto si aggiunge ai mille altri e testimonia in questo caso la collusione di intenti fra questura e fascisti che sono all’origine del dossier per cui Valerio è stato assassinato e di cui si è scoperto che avrebbe potuto evitare l’assassinio del giudice Amato e il massacro di Bologna.

I compagni di Valerio

(da Lotta Continua, Mercoledi 22 Ottobre 1980,)

Quel 22 ottobre dunque ci fu la manifestazione per l’affissione della lapide.
Così racconta il Duka:
‘Poi c’è stata l’affissione della lapide sotto casa. Per il Movimento l’appuntamento era sotto la lapide, le guardie chiusero tutta la zona però lasciando tutta la zona, da Conca D’Oro alla fine del ponte delle Valli, al ponte… quello che porta a Piazza Sempione, e bloccarono tutto a chiude’ fino alla Bufalotta. E mentre tutti stavano là, da come riportano le cronache ci fu un’autoconvocazione, dal quartiere Trieste che passò dall’Africano a Viale Eritrea e andò verso Piazza Annibaliano’.

(Intervista al Duka, Roma 4 Giugno 2010 in Marco Capoccetti Boccia, Valerio Verbano una ferita ancora aperta, Castelvecchi Editore, Roma, 2011, pag. 295)

Quel giorno, a detta della Questura ci furono diversi episodi di violenza:
“In costanza del divieto opposto dalla Questura, di una manifestazione consistente in un corteo con comizio conclusivo, promossa da esponenti del movimento “Lotta continua per il Comunismo” a otto mesi circa dalla morte di Valerio Verbano, verso le ore 19, al termine di una cerimonia commemorativa svoltasi sotto l’abitazione della famiglia del giovane assassinato, diversi estremisti, allontanatisi alla spicciolata dalla zona presidiata dalle Forze dell’Ordine, si portano nel quartiere Vescovio ove, costituendosi repentinamente in piccoli nuclei, danno luogo ai seguenti atti di violenza: un esiguo numero di giovani irrompe nella locale sezione D.C. e, dopo aver fatto uscire alcune persone presenti all’interno lancia quattro bottiglie incendiarie contro una porta e due pareti, danneggiandole. Subito dopo gli attentatori si danno alla fuga, lanciando altri ordigni incendiari sul piano stradale, senza peraltro provocare danni a persone o cose;                                                                                                                                                      -un altro gruppo assale con bottiglie incendiarie un’autovettura radiomobile dei CC in transito, non impegnata nel servizio di ordine pubblico. Il veicolo va completamente distrutto. Nelle circostanze, inoltre, i Carabinieri A. Mario e C. Lorenzo, riportano ustioni giudicate guaribili, rispettivamente, in gg. 20 e 6 s.c.;                                                              -circa 40 facinorosi, tutti travisati, lanciano numerose bottiglie incendiarie contro autovetture in transito, danneggiando la Lancia Fulvia tg. Roma ….. e la Fiat 126 tg. Roma ….., nonché, lievemente, altri due autoveicoli. Gli stessi, inoltre, nella medesima circostanza, esplodono tre o quattro colpi d’arma da fuoco in direzione di un pulmino dei Carabinieri, non in servizio di ordine pubblico, senza peraltro attingerlo;                                -I manifestanti infine accendono un falò e pongono un’autovettura di traverso sul piano stradale. In seguito ad una battuta cinque giovani sono accompagnati in Questura e quindi successivamente rilasciati al termine degli accertamenti. Altre quattro persone aderenti a Democrazia Proletaria, sorprese ad affiggere manifesti contro il divieto al corteo, sono denunciate all’A.G.                                                                                                                                   Si recuperano, da ultimo, inesplosi cinque ordigni incendiari.

(Archivio Centrale di Stato, Ministero degli Interni,  1976-1981, busta 64 pp. 40-41)

La DIGOS invia in copia al Giudice Istruttore Claudio D’Angelo che sta svolgendo insieme al P.M. Pietro Giordano le indagini sull’omicidio di Valerio sia il volantone che l’articolo su Lotta Continua sottolineando come “in entrambi gli scritti si accusano gli organi dello Stato -magistratura e polizia – di collusione con i ‘fascisti’, in relazione ad una asseritamente programmata fuga di notizie sul noto ‘dossier’ sui militanti dell’estrema destra compilato da Valerio Verbano e sequestrato da questo ufficio in occasione del suo arresto”.

(Archivio del Giudice Istruttore, Tribunale di Roma, fasc. 589/80A, questura di Roma, DIGOS, 22 Ottobre 1980)

Una settimana esatta dopo la sistemazione della lapide, viene recapitata a Sardo una missiva anonima di minacce e la lapide viene imbrattata. Non è il primo né sarà l’ultimo sfregio che verrà compiuto ai danni della lapide.

(Marco Capoccetti Boccia, Valerio Verbano una ferita ancora aperta, Castelvecchi Editore, Roma, 2011, pag. 296)


ottobre 1980

giugno 2012

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Per Carla, Sardo e Valerio Verbano

La nostra memoria non si chiude con un sigillo.
Comunicato dopo i fatti riguardanti la casa di Carla Verbano.

La decisione di sigillare la casa di Carla Verbano, avvenuta su disposizione degli uffici regionali competenti, è un atto vergognoso soprattutto per le modalità con cui si è oltraggiato un luogo che sta a cuore a migliaia di persone. La Regione, prima che i sigilli venissero messi e i mobili gettati, sapeva della volontà da parte dei compagni e delle compagne della famiglia Verbano di costruire in quel luogo un centro della memoria capace di continuare il percorso di verità e giustizia intrapreso da Carla e di connettere le diverse anime antifasciste di Montesacro e non solo. Un esperimento di memoria e di lotta capace di tessere rapporti con le realtà studentesche in continuità con il lavoro di Carla, continuare la ricerca della verità storica sull’omicidio di Valerio Verbano, raccogliere e archiviare tutto l’immenso materiale che intorno alla storia di Valerio e dell’antifascismo che i movimenti hanno prodotto e producono, promuovere eventi culturali.

Abbiamo letto gli articoli e le lettere usciti in questi giorni sull’onda della cronache giornalistiche.
Riteniamo che di parole, soprattutto dalle istituzioni e dai loro rappresentanti, in questi mesi e anni ne siano state dette tante alle quali raramente sono seguiti i fatti; al contrario si sono prodotti veri e propri agguati sia sulla casa di Carla (dove la Regione ancora non ha formulato una proposta e tuttora è in dismissione) sia sulla Palestra Popolare Valerio Verbano (dove Carla ha scelto di salutare per l’ultima volta i compagni e le compagne di ieri e di oggi) sulla quale pende un processo con risarcimenti milionari a carico degli attivisti nonostante il recupero autogestito di uno spazio pubblico diroccato.

Quindi non ci incantano né le buone intenzioni né le buone parole, verificheremo nei fatti tutto e tutti.

Noi siamo consapevoli dei mezzi che abbiamo e di quelli che sono i nostri obiettivi: il cuore che ci ha tenuti uniti a Carla per tutti questi anni e che ci ha visti protagonisti di tante battaglie e la lotta che metteremo in campo per non permettere che nessuno oltraggi di nuovo la sua e la nostra memoria. Siamo convinti che lo sviluppo dei progetti nell’appartamento di Via Monte Bianco, unitamente alla risoluzione della situazione della palestra popolare, siano un atto dovuto e non una concessione.

Per questo stiamo lavorando in maniera pubblica e partecipata alla creazione dell’associazione che affronterà questa vertenza; uno strumento che nel nome e nel ricordo di Carla, Sardo e Valerio connetta e unisca progetti, sensibilità e lotte.

Intanto annunciamo l’inizio della campagna per l’assegnazione dell’appartamento di Via Monte Bianco che vedrà gli antifascisti romani, le reti sociali e i movimenti cittadini promuovere momenti pubblici di mobilitazione.

La memoria è un ingranaggio collettivo.

Con Valerio, Sardo e Carla nel cuore. E gli occhi ben aperti.

Giovedi 18 Ottobre alle ore 18 Assemblea cittadina all’Astra Spa in via Capraia, 19

le compagne e i compagni di Carla, Sardo e Valerio Verbano.

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2 ottobre 1992 – 2 ottobre 2012. Per chi c’era, per chi non c’era, per chi ha dimenticato, per chi ha rimosso…

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Mi sono appena iscritto alla nuova scuola.
Neanche tre giorni e già sciopero.
Ma non potevo fare altrimenti: oggi è giornata di sciopero generale regionale indetto dai sindacati confederali e da quelli di base. Scenderanno in piazza anche tutte le realtà autorganizzate del mondo del lavoro, le liste dei disoccupati, tutti i centri sociali della città, anche se il coordinamento è diventato l’ombra di se stesso ormai. E tutto il movimento degli studenti medi e universitari. Sia quelli autorganizzati che quelli legati al Pds.
Non potevo certo mancare proprio io.
Però devo stare attento a come mi presento nella nuova scuola, dopo tre bocciature, quattro trasferimenti, un po’ di denunce e vari sette in condotta. Non posso più permettermi errori se voglio diplomarmi.
E ne ho tutta l’intenzione.
Ma in fondo non l’ho detto a nessuno che oggi sciopero. Mi sono dato malato e basta, perché anch’io devo sopravvivere e prendermi questo cazzo di diploma da ragioniere. L’ho promesso a me stesso e ai miei genitori. A tutta la famiglia in effetti, visto che sarei il primo diplomato da generazioni e generazioni.
Per cui dovrò rigare diritto a scuola, pensare solo a studiare e non fare politica direttamente. Agire nell’ombra, magari, come i vecchi studenti comunisti che agivano in clandestinità durante il fascismo. Fatte le dovute proporzioni, ci mancherebbe altro. Cazzo, in fondo ho già 19 anni e mezzo e faccio ancora il terzo. Son peggio di Garrone, Cristo santo!
Devo diplomarmi e darmi una calmata.
Me lo ripeto e lo scrivo sul mio diario mentre l’autobus mi porta in piazza.
Ma oggi gli operai finalmente si ribellano di nuovo, e pure quei rincoglioniti di Rifondazione.
Mezza Italia lancia bulloni contro il triplice sindacato venduto. E almeno uno lo voglio lanciare anch’io.

Arrivo in piazza praticamente da solo, con gli altri del mio gruppo ho appuntamento proprio sotto questo McDonald’s di merda, che spero un giorno devasteremo definitivamente.
Non come l’anno scorso, quando dopo neanche un giorno che era stato distrutto aveva già riaperto.
Sono qui con mezz’ora di anticipo.
Incontro quella stronza della Carra. Sì proprio lei, quasi non ci posso credere nel vederla qui: la professoressa dei Cobas che mi ha bocciato a settembre, impedendomi di fatto di riscrivermi alla mia sfavillante scuola di periferia. Costringendomi a emigrare in una compita e autoritaria scuola del centro. Un brutto segno incontrare la Carra. Ho pure indossato la mia camicia porta sfiga, altro brutto segno.
Lei mi saluta.
Io la guardo male e volto le spalle.
Avrei dovuto mandarla affanculo?
Forse picchiarla? Almeno uno schiaffo avrei potuto darglielo in fondo. ’Sta stronza m’ha davvero rovinato la vita.
Ma la mia maledettissima parte buona di cuore emerge sempre in queste situazioni e mi impedisce di essere cattivo, spietato. Come dovrei, vorrei essere.

La piazza si sta riempiendo. Sarà una giornata tosta, si sente nell’aria. Bandiere dei Cobas e degli altri sindacati di base la colorano. Ma più di tutte sono quelle dei sindacati confederali. Sono migliaia e migliaia, cazzo. Pochi compagni però. Autonomi intendo, e militanti vari dei centri sociali in generale. Ma dove stanno? Mi chiedono gli altri studenti. Già, me lo domando anch’io. Una parte dei miei compagni è qui con me, gli altri sono in piazza. La nostra struttura è divisa in due. Ma tutti gli altri dove cazzo stanno?
Boh…
Noi comunque ci prepariamo al meglio. Oggi sarò responsabile del servizio d’ordine degli studenti medi autorganizzati. Una cosa ridicola, forse, di cui però vado comunque orgoglioso.
Dell’ex mitico servizio d’ordine dell’autonomia romana non si vede neanche l’ombra. Noi schieriamo il nostro, quello degli studenti medi autonomi di Roma e provincia, mica cazzi eh…

Le barricate chiudono le strade ma aprono le vie.
Questo vecchio slogan campeggia sul muro. Cancellata, scritta, coperta e riscritta mille volte. Questa sera, quando sarà tutto finito, la guarderemo con occhi diversi.
Partiamo.
Attraversiamo piazza della Repubblica e giriamo lentamente l’angolo largo con via Cavour. Ci muoviamo lenti come un pachiderma, dobbiamo tenere unito il nostro spezzone che mai come oggi è immenso. Sconfinato e lentissimo però, poco agile quindi. Ci sono centinaia di ragazzini e ragazzine al loro primo corteo, ci ripetiamo fra di noi che dobbiamo tutelarli, proteggerli. Nessuno di loro dovrà farsi male. È un imperativo categorico per noi. Prima gli studenti da difendere, poi la nostra salvaguardia, cazzo.
Tre anni di lavoro politico quotidiano organizzato nelle scuole di mezza Roma danno i loro frutti, per questo siamo così numerosi e così in tanti ci seguono. Merito anche della bella giornata di sole d’autunno, la classica ottobrata romana.
La Cgil è davanti a noi. E dietro, e ai lati, ovunque. Ci controlla e ci contiene senza ancora muovere un dito. Per ora però siamo abbastanza tranquilli. Siamo pieni di bandiere, abbiamo il nostro striscione enorme del coordinamento di tutti gli studenti medi autorganizzati uniti di Roma, fuori dai partiti e dai sindacati, anche abbastanza contro direi… Finalmente siamo tanti, uniti e determinati. Migliaia. Altro che quei coglioni della sinistra giovanile e dell’Uds. E uniti agli operai e ai centri sociali stiamo riscaldando alla grande questo autunno!
Lo gridiamo dai megafoni che ogni scuola ha portato con sé. Con la conseguenza inaspettata e quasi ridicola di sentire cento megafoni parlarsi addosso.
Abbiamo scritto nei volantini e sugli striscioni la nostra parola d’ordine: occupare scuole, posti di lavoro, università e quartieri. Ecco cosa bisogna fare.
Con la crisi economica il movimento crescerà e non si farà ingabbiare di nuovo dai sindacati confederali nell’ennesima finta protesta utile solo ad arricchire le loro tasche. Lo gridiamo in faccia ai sindacalisti che ci circondano. E li facciamo rosicare, lo si vede bene dagli sguardi truci e incazzati che ci rivolgono contro. Iniziano già a passarsi i caschetti gialli e bianchi e se li infilano in testa. Si fanno cenni d’assenso fra loro e, incredibile a dirsi, pure con i loro colleghi che indossano i caschi blu. Davvero spudorati! Li sbeffeggiamo ma ci teniamo ancora distanti. Non si sa mai.
Non vogliamo lo scontro, almeno fino a quando non saremo arrivati in piazza San Giovanni. Lì, sotto il palco blindatissimo, regoleremo un sacco di conti. C’è tempo.
Ma loro non aspettano affatto. Non capisco come e perché ma parte la prima carica, cazzo!
Non sappiamo bene neanche da dove arrivi, in effetti… vediamo un fuggi fuggi generale.
Il servizio d’ordine della Cgil è sveltissimo, si vede che non aspettavano altro, tirano fuori dal furgone rosso posizionato strategicamente di fronte al nostro gruppo decine di stalin, senza neanche uno straccetto rosso attaccato sopra. Prendono a bastonate i compagni che sono davanti a loro in ordine sparso e quelli che gli si fanno sotto.
Si apre un varco, subito. Una piccola terra di nessuno.
Che resta tale. Non si ricompone più, quel vuoto.

Noi siamo qualche metro indietro, completamente disarmati, per fortuna l’onda del contraccolpo che di solito segue una carica non ci raggiunge. Restiamo compatti, serriamo le fila, aumentiamo gli slogan e cerchiamo di non far scappare nessuno, neanche i ragazzini, quelli che sono dieci cordoni dietro. Noi siamo il primo cordone del Movimento adesso, subito dietro la Cgil. I compagni sparsi dei Cobas e dei centri sociali che erano di fronte a noi non si vedono più.
Cristo de Dio!
Che fine hanno fatto?! Dove sono? Li cerchiamo senza poterci staccare dai cordoni ma non li troviamo.
Avanziamo ancora: il corteo, immenso, prosegue come al solito su via Cavour fino a girare un nuovo angolo, quello con la Basilica.
Facciamo un sacco di scritte sui muri contro il governo Amato e il sindacato, contro la polizia e il Pds. Tanta rabbia, la situazione è tesa ma si va avanti, guardati a vista dai mastini della Cgil.
Noi autorganizzati siamo migliaia, loro altrettanto.
Superiamo compatti e preoccupati la Basilica di Santa Maria Maggiore ed entriamo nella bellissima e alberata via Merulana.
E qui scatta la trappola.
Dietro di noi la Cgil fa il vuoto, si ferma e impedisce fisicamente il passaggio a molti studenti, manifestanti e ai suoi iscritti o simpatizzanti. Lascia entrare compatta la Digos, la celere e i carabinieri in mezzo al corteo. File di sbirri alle nostre spalle e davanti a noi. Ci circondano a migliaia. Ci hanno spezzato, isolato, diviso dal resto del corteo!
Che coglioni siamo stati, non siamo riusciti a capire quello che ci preparavano contro. Un’infamata del genere non ce l’aspettavamo oggi, neppure dalla Cgil. Non avremo potuto comunque evitarlo, penso nella mia testa. Siamo solo studenti medi. Gli universitari, i Cobas e i centri sociali sono tutti a piazza San Giovanni a dar battaglia al palco dei sindacati.
Dico agli altri di dividere il cordone a metà, far sfilare gli studenti sparsi rimasti dietro di noi e ricompattarci alle loro spalle, davanti alla polizia. Dobbiamo fare muro e difendere i nostri, a qualsiasi costo.
Cosa difficile per chiunque, figurarsi per tanti di noi con poca esperienza di servizio d’ordine. Urlo, urliamo. Gridiamo tutti così tanto che gli altri studenti, i nostri studenti, impauriti di per sé dalla situazione, alla fine seguono alla lettera le nostre indicazioni e avanzano veloci. La paura, quando non diventa panico, ti fa fare sempre la cosa migliore.
L’ho imparato bene quella volta che insieme a Giovannone e gli altri ero andato a vedere Inghilterra-Belgio a Bologna, durante i mondiali del ’90, per pestare qualche hooligan inglese, invece quasi le prendemmo noi. Ricordo bene la paura che provai quando un gruppo di stronzi hooligans ci rincorse per mezza Bologna dopo che gli avevamo strappato le sciarpe di dosso… tirarono fuori le lame e ci costrinsero a scappare come lepri, quando tutto sembrava perduto e la paura stava per trasformarsi in panico riuscimmo a scavalcare un enorme cancello di un condominio privato, manco fossimo stati dei fottuti ninja!
In che cazzo di storie mi vado a cacciare, sempre…
Dietro di loro veloce arriva la polizia. Scattiamo, in un attimo di follia, furia e determinazione. Gli impediamo di entrare nel nostro spezzone! Chiudiamo il doppio cordone di servizio d’ordine davanti alle loro facce un po’ sbigottite. Non se lo aspettavano proprio da un gruppo di studenti. Rimediamo qualche manganellata a cui rispondiamo con un po’ di calci e spinte. Ma senza rompere il cordone. Il cordone tiene e riusciamo a ricompattarci. Fottute guardie e fottuta Cgil, non ci avete ancora spezzato del tutto.
Lo penso, lo pensiamo e alla fine lo gridiamo ripetutamente in coro!
“Digos boia” diventa quasi un mantra… lo intoniamo per dieci minuti di seguito.
La Digos ora però è alle nostre spalle. Forte di centinaia di celerini e blindati che la proteggono. Senza mediazioni e senza nessuno a coprirci le spalle. Noi siamo l’ultimo cordone, quello che dovrà tenere la carica. Un onore e una sfiga allo stesso tempo.
I digossini sono invasati, ci prendono per il culo, ci ridono alle spalle, ci insultano, ci provocano. Noi non rispondiamo, facciamo i superiori… Continuiamo con i cori e cerchiamo di velocizzare il passo per arrivare in piazza prima possibile, per unirci ai nostri fratelli maggiori.
Siamo rallentati davanti da decine di file di carabinieri, che ci schiacciano e ci dividono dalla testa del corteo guidato ancora dalla Cgil, che adesso avanza stranamente veloce.
La visione è imponente. Siamo uno spezzone di migliaia di studenti, compresso da carabinieri e polizia.
Gli uomini della Cgil sono davanti e dietro gli sbirri, e ai lati in ordine sparso. Pronti a dar man forte alle guardie. A subentrare per finirci.
Un lavoro da macellai, insomma.
Parte la prima carica di alleggerimento, fatta solo ed esclusivamente dalla Digos. Ci assaggiano, per così dire.
Sono tutti in borghese, alcuni eleganti in cappotto giacca e cravatta e altri in jeans maglioncino e giacchettine parioline varie. I più coatti indossano ancora il vecchio Schott nero di pelle o giacche militari nere, blu, verdi. Sono davvero brutti. Non vedo donne fra loro. Sono un centinaio. Casco in testa e manganello in mano, attaccano il nostro doppio cordone. Abbiamo i caschi ma pochi bastoni. Ci spezzano in due, tre, quattro parti, ma riusciamo comunque a restare in piedi.
Faccio partire di nuovo, con tutta la rabbia che ho in corpo, un fortissimo “Digos boia!”. Reagiamo con la voce, calci e pugni. Ma è poca roba di fronte alla loro forza. Lo sappiamo bene adesso.
Per fortuna non affondano con la carica.
Ci lasciano il tempo di reagire e noi cerchiamo di usarlo come meglio possiamo.
Ci riorganizziamo, riformiamo il cordone e ci giriamo faccia a faccia verso di loro.
Marciamo all’indietro, dando le spalle al nostro spezzone. Per guardarli in viso e insultarli anche noi, vada come vada. Per la battaglia definitiva.
Invito tutti a resistere, grido e rido allo stesso tempo, la carica sta arrivando ma dobbiamo tenere. “Ci sono studenti giovani e inesperti” urlo, “dobbiamo proteggerli, cazzo!”
Partono i lacrimogeni ad altezza d’uomo e di donna, ad altezza studente, per la precisione.
Uno mi prende alla coscia, di striscio. Ma non solo il solo a essere colpito. La Digos si apre e fa passare i blindati e la celere che le coprono sempre le spalle.
Questi ci travolgono e ci mandano a terra come birilli, cazzo.
Il nostro cordone è frantumato, disperso. Non vedo più nessuno per un attimo lunghissimo.
Crollo sopra un gruppo di ragazzine che urlano e piangono.
Invocano la mamma.
È una mattanza. Ci massacrano senza pietà.

“Non mi sono fatto niente, cazzo! Lasciatemi andare!” grido a Marilù e al Teschio. Dopo aver vomitato acido riesco a rialzarmi e a vagare fra la nebbia dei lacrimogeni.
“Devo ritrovare gli altri, dobbiamo riformare il servizio d’ordine e andare in piazza, cercare una vendetta a questa infamia, a questa trappola della Cgil, cazzo!”. Questo grido al Teschio e ai pochi che vedo distrutti davanti a me.
Mi tocco la testa e c’ho un mucchio schifoso di sangue e capelli e terra fra le mani. Cazzo, mi hanno rotto la testa, penso.
Siamo divisi, colpiti, esausti, sconfitti.
Marilù e il Teschio dopo una lunga lite mi costringono a salire sull’ambulanza, che è un po’ la mia salvezza… la Digos sta arrestando varia gente e visto che mi avevano già inquadrato tornano alla carica. Arrivano due infermiere quasi a proteggermi ma sembrano titubanti quando vedono un paio di sbirri che mi puntano da lontano, le infermiere sembrano addirittura più giovani di me, e sicuramente di cariche ne hanno visto meno del sottoscritto. Per fortuna all’ultimo mi salva un cazzo di infermiere baffone, che potrebbe ricordare il Vecchio dei tempi d’oro. Mi fa cenno di accasciarmi e mi prende sottobraccio, mi fa salire sull’ambulanza, chiude svelto le porte e via, fa accendere le sirene.
L’infermiera dell’ospedale San Giovanni non riesce a medicarmi. Dice che sprizzo gas lacrimogeno dai pori ed è costretta ad aprire la finestra, a mettersi la mascherina e aspettare un po’, che io sbollisca insomma.
Cazzo ci mancava pure questa, eh! Che sfiga!
Claudia mi passa davanti e si ferma, perché riconosce il mio vocione che brontola contro l’incompetenza dei medici e la disorganizzazione. Ci salutiamo appena.
Ha le guardie letteralmente alle spalle e facciamo finta di non conoscerci per evitare che ci associno, facciano indagini, denunce, che insomma ci bevano lì al pronto soccorso.

La foto è pubblicata da pochi giornali, pochissimi.
Fulvio Vento è a cena coi suoi uomini in un noto ristorante della capitale, tanto il conto lo paga la Cgil, orgoglioso delle botte che hanno dato a tanti ragazzini e ragazzine. Mentre gli altri suoi sbirri scappavano lontano, in un’altra piazza, di fronte alle cariche degli autonomi.

Tratto da “Non dimenticare la rabbia” di Marco Capoccetti Boccia, Agenzia X, Milano 2009
qui scaricabile gratuitamente:
http://www.agenziax.it/imgProdotti/33D.pdf
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Chiusa con un blitz infame la casa di Carla Verbano

Ieri mattina, venerdi 27 settembre, con un blitz infame, senza preavvisare i compagni e le compagne, la regione lazio, proprietaria della casa in cui era in affitto da oltre 40 anni Carla Verbano, ha mandato una squadra di operai che ha blindato la porta con degli infissi laterali di ferro (ma non l’hanno sradicata e non hanno alzato nessun muro esterno così come si era temuto in un primo momento) ma ha buttato letteralmente sul pianerottolo il divano sul quale è morto Valerio Verbano.
Il divano lo abbiamo recuperato e messo al sicuro.

Oggi alle ore 19 ci sarà una riunione cittadina all’Astra, in Via Capraia.
Ciao Carla, manchi veramente un sacco.

 

 

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Da “Scontri di piazza”: a Nando, il Presidente !

Nando incede con il suo passo incerto. Mi sembra sempre più vecchio che mai il Presidente da quando lo conobbi in quel bellissimo pomeriggio d’inverno nella sua casa di viale Marconi.

Fu un onore. Anche se Nando non amava l’uso di questa parola, e in fondo e in fondo neanche io, ma a quei tempi l’influenza della Curva Sud era ancora forte in me e mettici pure tutti i discorsi sull’onore e la vendetta che me ripeteva Antonello. Insomma sì, alla fine fu un onore.

 

I compagni dell’Antico Molo mi parlavano di Nando da mesi, me ne parlavano come di un mito, un compagno intelligente e saggio, risoluto, che negli anni belli dello scontro autonomo de classe aveva diretto alla grande intere compagini di compagni senza mai perdere lucidità.

Uno che qui nel quartiere e in tutta Roma era rispettato come pochi.

Mi ripetevano che presto o tardi me lo avrebbero fatto conoscere e che lui m’avrebbe raccontato cose che loro stessi avevano saputo dai suoi racconti. Anche se mi dicevano: non ti illudere. Nando non è coatto come noi. Lui è il Presidente, c’ha un altro modo di vedere la vita e la politica.

E così fu.

Quell’incontro fu bellissimo e semplice, Nando fu gentile e alla mano, pur essendo un pezzo di storia del movimento romano di fronte a un ragazzino esaltato e con brufoli e occhialoni come il sottoscritto. Fin dal primo incontro ti sapeva mettere a tuo agio e ti trattava con lo stesso rispetto e affetto che tu portavi a lui. Ma se dicevi una stronzata ti fulminava con una battuta e ti spiegava, con il raro dono della sintesi che lui come pochi aveva, perché e dove avevi sbagliato.

Poi chissà le fregnacce che gli aveva raccontato Antonello su di me in quei mesi che precedettero il nostro incontro. Infatti mi mise in imbarazzo come solo lui sapeva fare.

Ma fu un pomeriggio bellissimo, che ricordo ancora oggi come fosse ieri.

Imparai subito da Nando. E l’ho fatto sempre.

Perché da Nando c’era solo che da imparare.

E basta.

 

E anche oggi Nando è qui.

Per darci forza e coraggio. Per mettere la sua lucida esperienza al servizio di tutte e tutti noi.

Perché è arrabbiato, ovviamente.

Non gli sembrerà vero di vedere una cosa del genere, lui che esattamente vent’anni fa i fascisti li aveva cacciati dalla borgata.

Lui che c’era quando i compagni chiusero alla grande la storica sezione del Msi, una delle tante di cui fino alla metà degli anni ’70 i quartieri proletari e popolari erano pieni, fino a che l’antifascismo militante non mise fine alla tolleranza dell’antifascismo istituzionale.

Il mitico e vecchio Comitato Proletario di via Monte delle Capre.

Di cui tanto ci ha parlato. Fu quello che insieme ad altre realtà della sinistra rivoluzionaria di allora chiuse i giochi coi fascisti in borgata.

Ora, si son riaperti.

E non solo qui ma in tutta la città.

In tutta Italia.

E in un modo impensabile vent’anni fa. Son andati al governo democraticamente eletti.

Assurdo per Nando.

Per i compagni della sua generazione e per quelle immediatamente successive.

Ma forse un po’ meno assurdo per la nostra generazione di compagni, che i fascisti li abbiam visti crescere e moltiplicarsi e che oggi ce li ritroviamo addirittura al governo insieme a leghisti, berlusconiani e un pezzo di democristiani della diaspora.

Una cosa da romanzo di fantapolitica, dicono alcuni.

Ma ora è il nostro terribile presente.

Dove fra l’altro, tutti i gruppi e gruppuscoli alla destra, o alla sinistra (dipende sempre dai punti di vista) del MSI, si muovono con una incredibile agibilità politica concessagli dal governo e da un pezzo di opposizione di sinistra sempre più rifardita.

 

Ma Nando è qui, a darci man forte. A parlare con quelli che ai suoi tempi si chiamavano i proletari del quartieri e che noi, in questo cazzo di postfordismo di merda, non sappiamo più come chiamare.

Noi compagni vetero continuiamo a chiamarli così. Li nominiamo così anche sui nostri volantini e sui nostri manifesti.

Usiamo ancora mettere la falce e il martello, addirittura, sui nostri manifesti e volantini. Ma siamo fra i pochi compagni del movimento a farlo. E sappiamo che molti, i postfordisti, si prendono gioco di noi, alle nostre spalle. Perché i tempi son cambiati, non è più tempo di fordismo.

E bisogna adattarsi ai tempi che cambiano.

Come se Roma, e noi di conseguenza, fosse mai stata una città fordista.

A cagare! Intellettuali di sinistra di mmerda e compagni neoriformisti.

Noi, ancora parliamo di rivoluzione.

Magari a bassa voce….

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Presentazione in anteprima di “Scontri di piazza”

Venerdi 5 Ottobre alle ore 19 presso il Centro sociale occupato autogestito Ex Snia Viscosa in Via Prenestina 173

Prima presentazione de “Scontri di piazza” di Marco Capoccetti Boccia, Lorusso Editore.

 

Marco Capoccetti Boccia, già autore di “Non dimenticare la rabbia – Storie di stadio strada piazza” e “Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta”,  torna a raccontare la piazza e la rabbia in 11 racconti ispirati a storie realmente avvenute, dal ’91 della prima guerra del Golfo a Genova 2001.
Per chi c’era e chi non c’era.

Storie scomode e politicamente scorrette di chi porta in piazza le proprie lotte con rabbia e determinazione. 11 racconti di scontri di piazza, contrassegnati da data e luogo, in un periodo storico poco conosciuto, quegli anni ’90 vissuti come un deserto freddo da attraversare dopo la fine delle organizzazioni autonome, in una Roma in trasformazione, dove tra centri sociali istituzionalizzati e periferie disumane resistono pochi, disorganizzati e forse velleitari, che continuano a chiamarsi autonomi.

Mai pentiti, mai arresi.

A seguire cena sociale in sostegno della nuova Palestra Autogestita della Snia

in chiusura DJ SET con Scarph & Sista

 

Lorusso editore

http://www.facebook.com/groups/469438423089595/

http://www.exsnia.it/

 

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Scontri di piazza

Stiamo quasi entrando a piazza Venezia.

Finalmente è giunto il momento di aprire lo striscione “D’Alema Boia” per vedere l’effetto che fa.

E’ enorme, alto due metri e passa per dodici di lunghezza, sfondo bianco scritta rossa, doppia.

Parte il coro forte e potente “D’Alema Boia” che rimbomba in tutta la piazza.

Ci fomentiamo, dai dai dai!

Un sacco di fotografi e cameramen riprendono lo striscione e noi che siamo in finta tenuta anti-antisommossa… Visto che fa caldo, ci siamo limitati a qualche fazzoletto rosso, nero, di tutti i colori…
Ma siamo determinati. Almeno un po’, dai!
Mentre il corteo si ferma stantio a piazza Venezia e il camion di apertura si dirige verso piazza Santi Apostoli, noi restiamo in piazza, ci guardiamo, ci chiediamo: e adesso che cazzo facciamo?
Fomento gli animi: verso il Bottegone! Forza, verso il Bottegone!
L’indicazione è chiara. E’ dal Bottegone che è partito il sì decisivo alla mattanza nella ex Jugoslavia e quindi lì bisogna andare a chiedere conto di questa decisione.
A modo nostro.

tratto da “Scontri di piazza”, di Marco Capoccetti Boccia, Lorusso Editore
in uscita il prossimo 21 settembre

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Scontri di Piazza

“Parte la carica leggera: quella della Digos e degli specialotti che, casco in testa e manganello alla mano ma senza scudo per ripararsi ma con le spalle ben coperte dalla celere, provano a strappare lo striscione enorme con le stecche dalle mani dei compagni. Volano manganellate su manganellate, calci e pugni addirittura, ma niente lacrimogeni: ci attestiamo sul corpo a corpo. Il mio preferito, cazzo. Noi, che siamo nelle file indietro iniziamo a premere per andare avanti: verso lo scontro, dove l’odio si brucia e si consuma in un attimo di follia.
Io sbrocco e mi porto dietro i compagni del centro sociale: si rompono le fila e avanziamo tutti per sostenere il nostro servizio d’ordine ma soprattutto per cercare lo scontro con le guardie: il corpo a corpo, cazzo!
La Digos indietreggia finalmente! Scappate codardi!”

da “Scontri di piazza”, di Marco Capoccetti Boccia,

in uscita per Lorusso Editore il prossimo 21 settembre

http://www.lorussoeditore.it/

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A Carla Verbano

La fine non è stata affatto folgorante.

Proprio come tu temevi, Carla.

La sera del 5 giugno Carla Verbano se n’è andata in silenzio, senza disturbare nessuna e nessuno.

Ha aspettato che chi era accanto al suo letto uscisse a dieci metri dalla sua stanza per bere un caffè per poi andarsene in silenzio, senza far rumore, senza chiedere più nulla.

Poiché l’unica cosa che ha sempre chiesto, a volte sommessamente, a volte a gran voce, le è sempre stata negata.

Carla ci ha lasciato dopo aver lottato con tutta sé stessa contro un male che la tormentava da anni, un male che l’ha colpita più volte e che lei più volte ha sconfitto. Alla fine non ce l’ha più fatta e se n’è andata. In silenzio, dolcissima, senza disturbare nessuna e nessuno.

Carla non è stata solo la madre di un compagno assassinato, Valerio Verbano, ma è stata l’esempio di una donna e di una madre che fino all’ultimo ha lottato per avere verità e giustizia sull’omicidio del figlio. Carla è stata anche un’amica, una persona centrale per me e per tanti e tante compagni e compagne che non hanno conosciuto Valerio ma che nel suo nome hanno iniziato a fare politica, a lottare, a praticare l’antifascismo.

Carla, soprattutto in questi ultimi anni, è stata la mamma e la nonna di tutte e tutti noi.

Esortandoci a organizzare sempre più cose nel nome di Valerio e dell’antifascismo, partecipando lei stessa alle giornate di sport e antifascismo della palestra popolare intitolata a sua figlio, presentando in giro per Roma ma anche in altre città d’Italia il suo bellissimo libro Sia folgorante la fine raccontando ogni volta la stessa storia, con un coraggio sempre rinnovato, con una lucidità impressionante, con una determinazione unica nel dire, alla sua età, che i fascisti devono essere fermati, sempre e comunque.

Così come in quel pomeriggio, quando Casa Pound occupò provocatoriamente una scuola abbandonata a piazza Capri, proprio a due passi da casa tua. Da tutta Roma accorremmo per cacciarli di lì, nonostante decine di poliziotti e carabinieri li difendessero con la loro solita solerzia.

Ma nulla fu importante come il vedere te, una piccola e anziana donna, scendere in piazza, determinata ed elegante come sempre, nel dire: andatevene di qui, vicino a casa mia, alla casa dove avete ucciso mio figlio Valerio, non ci dovete stare.

Eri una roccia, Carla.

Te lo dicevo sempre, te lo dicevamo tutti e tutte.

Ma ultimamente, quando te lo ripetevo mi sgridavi e dicevi “basta basta, a forza di dirmelo mi sto sgretolando come una roccia…”

E invece no, sei stata forte e lucida fino alla fine, ci hai lasciato parole e sorrisi straordinari.

Davvero fuori dall’ordinario.

Così voglio ricordarti, con queste poche e sicuramente non all’altezza parole di saluto.

Voglio ricordare il suo sorriso, le sue sgridate, la sua forza, le sue contraddizioni.

Tutto ciò che ti rendeva umana, forte, coraggiosa.

Soprattutto le cose che non condividevo, soprattutto il rispetto per il dolore, che ho imparato da te.

Adesso è il momento del dolore, della tristezza.

Poi verrà il momento del vuoto.

Perché Carla lascia un vuoto enorme che mi mette paura, un vuoto che in nessun modo sarà possibile riempire.

Ma c’è già, in me, anche il momento della rabbia.

La rabbia contro chi in questo anno e mezzo le ha promesso che avrebbe trovato gli assassini di Valerio, che stava facendo l’impossibile, per rimediare agli errori del passato…

La rabbia contro chi l’ha illusa. La Procura della Repubblica di Roma, i Ros, molti politici.

L’ultimo saluto si è tenuto giovedi 7 giugno, così come ha voluto Carla, riunendoci in tanti e tante alla Palestra Popolare Valerio Verbano, nel quartiere del Tufello.

Nessun funerale, così come lei aveva espressamente richiesto.

Nessuna retorica altisonante. Solo tanti compagni e compagne affranti\e ma ancora uniti\e.

Ma uno strappo alla regola lo abbiamo fatto: in centinaia abbiamo manifestato, con striscioni e bandiere rosse, per le strade del quartiere accompagnando la bara dalla Palestra alla lapide dedicata a Valerio in via Monte Bianco, sotto casa di Carla.

Carla ultimamente diceva che una parte di lei se n’era già andata quel lontano 22 febbraio 1980, quando tre fascisti entrarono a casa sua e le ammazzarono suo figlio Valerio, mentre lei era legata, insieme al suo amato marito, Sardo Verbano, nella stanza attigua di quell’appartamento, che a Roma tutti i compagni e tutte le compagne conoscono, anche per averne visto solo le finestre, da quella strada, Via Monte Bianco.

Eppure Carla lo diceva sempre. Voglio sapere, voglio sapere chi e perché ha ucciso mio figlio.

Fino all’ultimo ha lottato per questo. Per 32 anni, fino ad arrivare alla fine, a 88 anni, sempre lucida e forte.

Le parole di Sardo Verbano, pronunciate poco dopo l’assassinio di Valerio, oggi risuonano più che mai vive:

Avevo un figlio, Valerio, che riempiva la nostra vita, e me lo hanno ammazzato. È stato proprio qui in casa. È caduto sul divano in quell’angolo, aveva la testa dove adesso c’è quel gattino di pezza. Sono stati i fascisti. Forse per vendetta, perché Valerio faceva parte di Autonomia. O forse per paura: Valerio era un loro nemico giurato, stava raccogliendo un dossier sui Nar, sui fascisti del quartiere. Chissà… Ma da quel giorno viviamo con uno scopo: scoprire la verità su nostro figlio, dare un nome ai tre assassini che ce lo hanno ucciso davanti agli occhi. Se la sua morte rimanesse un mistero, mio figlio verrebbe seppellito per la seconda volta.

Quanto ci vorrà ? Non lo so. Ma noi aspettiamo: siamo gente forte, e anche Valerio lo era. Possiamo accettare la morte di Valerio, farcene una ragione, purché sia l’ultima di questa strage di giovani. Solo così nessuno dovrà mai dire che questi ragazzi sono stati sacrificati per niente.

[…] Ora sulle nostre spalle è caduto il peso della sua morte. Noi non abbiamo la rassegnazione religiosa ad aiutarci contro il dolore. Non sappiamo perdonare, come il figlio di Bachelet, anche se l’abbiamo ammirato per il suo coraggio. A noi militanti comunisti, resta solo la forza della ragione. Due giorni dopo il delitto, io sono tornato al lavoro. Mia moglie, la vede: non ha ancora pianto. Ma sapesse quello che abbiamo dentro…Viviamo nel ricordo di questo unico figlio. Il resto è stato cancellato. Interminabile è la notte, lunga come un incubo, senza sonno, piena di dolore1”.

Mi dispiace Carla, mi dispiace se non riesco a scrivere parole adeguate a ricordarti, proprio oggi che è passata una settimana, mentre scrivo, dalla tua morte.

Carla, le tue parole restano le più chiare per raccontare chi eri.

Vorrei dire un’ultima cosa. Nel rapporto su mio figlio, che per anni è andato in Vespa con la sua macchina fotografica a tracolla, c’è scritto che le fotografie sono tutte ‘sfocate e indistinte per un errato uso della macchina fotografica.
Strano, erano anni che andava in giro a fare fotografie. Quelle del dossier si vedevano tutte. Stavolta invece no, tutte buie.
Dev’essere che Valerio, quel giorno, è riuscito a fotografare il futuro.
Non il suo, quello di tutti
2”.

Ciao Carla, mi mancherai tantissimo.

Marco Capoccetti Boccia

Pubblicato sul numero 19 della rivista Laspro (www.laspro.it)

1Sergio Baraldi, Il padre di Valerio: “Non so perdonare, ma fermiamo la strage”, Paese Sera, 09/04/1980.

2Carla Verbano, Alessandro Capponi, Sia folgorante la fine, Rizzoli, Milano, 2010.

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