Alberone

anteprima di un racconto che uscirà nella mia prossima raccolta di racconti di scontri….

ALBERONE

Ancora qui, per il solito pomeriggio freddo e ventoso all’Alberone, ad aprire l’anno politico. L’ultimo del millennio, pare. Se nun se so’ sbajati a fa’ li conti.
Ieri era la befana, capodanno è passato, con una noiosa festa. Le lezioni all’università non sono ancora riprese, qualche lavoretto a nero alienante all’orizzonte.
Siamo pochi a questo cazzo di presidio, a ventun’anni di distanza dal primo. Il settimo che mi faccio.
Frustrante come al solito.
Non abbiamo preparato né manifesti né volantini per indirlo e per spiegare che cazzo stiamo facendo qui, al buio, con  casco in testa e bastoni mal nascosti sotto bomber troppo piccoli… la gente che passa giustamente non capisce che cazzo stiamo a fare.
In città solo i militanti sanno di questo appuntamento, e manco tutti, a quanto pare.
Siamo pochi, meno degli altri anni. Molti di meno.
Cazzo che palle!
Che frustrazione questo procedere a tentoni, senza analisi, senza più metodo, senza una strategia.
Almeno proviamo a dare un senso a questa giornata organizzando uno straccio di servizio d’ordine visto che la riunione dell’altra sera manco è riuscita a definirne uno e visto che quella di oggi pomeriggio è stata una mezza lite fra noi, che spingevamo per strutturarci al meglio e chi, con molta sufficienza dettata dalla pigrizia e da anni di stanchezza militante, argomentava con difficoltà che non ce n’era bisogno, prendendo sotto gamba, come ho visto fare negli ultimi 7 anni, la situazione…
L’anno prossimo nun ce vengo, lo giuro, cazzo.
Che cosa ci stiamo a fare qui?
Portiamo sulle spalle una battaglia che non è la nostra.
Noi che non abbiamo fatto i mitici anni ’70 lo sappiamo bene, ma nessuno di noi ha il coraggio di dirlo.
Certo, come storico potrei tranquillamente dire a me stesso e a chiunque opponesse una qualsiasi argomentazione contro il senso di questo presidio che la lotta contro i fascisti va avanti da quel maledetto 1919.
Ma sappiamo tutti bene, e i numeri scarsi di oggi lo dimostrano ancora una volta, che questo presidio ha davvero poco senso. Se non per evitare le solite scorribande contro la sede dello storico Comitato di quartiere dell’Alberone e per dire alla “destra ironica e radicale” che questa non è zona nera..
Per questo e tanto altro siamo qui.
In pochi, ma siamo qui.
Scoraggiati, certo. Ma siamo qui al freddo e al gelo per 4 ore, come ogni 7 gennaio che si rispetti.
Un sacco di compagni però non si sono presentati, per la prima volta dopo anni. Le divisioni che regnano profonde nel Movimento si fanno sentire.
E io la vedo male.

Abbiamo detto e scritto che non si può continuare così.
Tutti ci hanno risposto retoricamente che il presidio è fondamentale, importante, che i vecchi lo fanno da 20 anni, ci mancherebbe altro che non si facesse anche quest’anno e che…be’ ci hanno detto, più o meno, che le noste critiche sono ridicole…
Eppure molti non si sono presentati, oggi.
Siamo meno di 100, cazzo.

Il primo presidio antifascista all’Alberone a  cui partecipai fu quello del 7 gennaio del 1993.
L’anno prima, il 7 gennaio del 1992, i fascisti della sede del Msi, ma soprattutto i nazi di Movimento Politico che all’epoca aveva sede in Via Domodossola, a un tiro di schioppo dall’Alberone, provarono ad attaccare la sede del Comitato di Quartiere. Il giorno dopo fu convocata una manifestazione cittadina antifascista.
Io quel giorno ero  ad una  Assemblea cittadina degli studenti medi al Liceo Virgilio, come accadeva spesso in quel periodo. I compagni dell’Antico Molo, di cui ero un militante all’epoca, mi dissero che non potevo andare, che ci sarebbero stati casini, che sarebbe stato un corteo militante e che era più importante che restassi per l’assemblea. Rosicai tantissimo.
Eh mica son un ragazzino eh, abbiamo già fatto gli scontri insieme, e per conto mio ne ho fatti già un bel po’. Qual è il problema? gli dissi con rabbia.
Alla fine l’assalto fu una cazzata, c’erano un sacco di punkabbestia e fricchettoni, i compagni non riuscirono ad arrivare alla sede dei camerati, perché poco determinati e poco organizzati a sfondare in massa i cordoni delle guardie e tantomeno quei pochi che li superarono più o meno agevolmente non riuscirono a impattare coi nazi lì presenti: piuttosto determinati loro e sicuramente armati, di pistole…

Pochi mesi dopo ci fu un nuovo tentativo di assalto di massa e stavolta andai, anche e soprattutto perché il giorno prima avevo perso mio zio.
Avevo una rabbia in corpo infinita per la morte dello zio a cui ero più legato e affezionato
e non credevo fosse un caso quello che mi aveva raccontato poco prima di morire.
Nell’estate del ’92 ero andato, come facevo da anni, coi miei zii in campeggio a Latina
dopo il mio primo bellissimo viaggio fra Dublino, Belfast e Derry.
Quella volta zio, che stava da tempo male con la gola, e scoprimmo poi che era a causa di un maledetto e maligno tumore ai polmoni, ci raccontò che da giovane lui fece un errore: sparò a un tedesco a via Marmorata, durante l’occupazione nazifascista.
La cosa era assurda perché mio zio era fascista allora, e in fondo lo è sempre rimasto, continuando a votare Msi per decenni, quando non votava Dc…
Eppure sparò a un soldato tedesco perché in quei giorni Roma non era affatto aperta ma chiusa e occupata, anzichenò… E lui di violenze da parte dei nazi ne vide tante, troppe, al punto che sbottò e ne ferì uno, o forse lo mancò, ma sicuramente gli mise paura.

In quel sabato 4 dicembre del 1992 eravamo almeno diecimila compagne e compagni, non se ne poteva più di quegli stronzi che da mesi, anni, avevano di nuovo incendiato Roma con la loro violenza squadrista e razzista.
Eravamo un sacco di autonomi, poiché, seppure in via di sciolgimento, i comitati esistevano ancora ed esisteva soprattutto ancora un tessuto dell’Autonomia, prima che molti autonomi si preparassero a fare il grande salto verso Rifondazione e roba simile, c’erano un sacco di studenti medi e universitari, c’era Rifondazione, c’erano gli incompatibili di via Ivrea e lo storico comitato di quartiere dell’Alberone, i compagni del Corto e tanti altri centri sociali della città.
Il corteo che partì dai Colli Albani era militante e incazzato ma non determinato fino in fondo. C’erano troppi compagni pompieri che non volevano che si andasse allo scontro totale con i fascisti e soprattutto con le guardie che li proteggevano.

Ricordo bene che dal 1990 al 1992 in questa zona di Roma, che va dal Quadraro nuovo fino a Cinecittà, fra l’Appia e la Tuscolana, ci furono un’infinità di scontri coi fasci, avvenuti soprattutto dopo l’attentato incendiario fascista del centro sociale Corto Circuito, il 19 maggio del ’91 ove morì bruciato il compagno Auro Bruni.

Oggi siamo pochi, davvero pochi e pure male organizzati.
Per fortuna che c’è “Er Matto” a fa’ la vedetta. Da solo, sull’altro lato della strada, a pochi passi dall’Alberone, quello vero, come una vera vedetta. Manco c’ha bisogno de mimetizzasse troppo, tanto lo conoscono tutti: i fascisti, che lo temono, le guardie, che cercano de fallo sta bbono, senza riuscicce, ovviamente.
Er Matto all’improvviso corre verso di noi attraversando il traffico delle sette di sera come un forsennato…: “arrivano arrivano!” ci grida
Proprio dal nostro lato, Via Appia Nuova angolo Via Veturia.
Ci schieriamo ma non facciamo in tempo: eccoli.
Appena il tempo de mettese il casco in testa.
Lanciano bomboni e sassi e bottiglie, a manetta.
Siamo in difficoltà. Cazzo.
Provo a dare la carica, a reagire, a gridare “Carica compagni!”.
Come nei migliori film che mi faccio in testa…ma non serve a un cazzo, Non partiamo, cristo, abbiamo paura, siamo sotto botta, siamo disorganizzati….e ne paghiamo lo scotto adesso.
Siamo ripiegati su noi stessi, in pochi a questo cazzo di angolo di merda, a cercare di ripararci da sassi e bottiglie che ci arrivano contro in buona quantità.
Tutto si svolge in un attimo che, come si scrive nei migliori romanzi e si mostra nei migliori film, sembra non finire mai.
Un attimo de mmerda però, cazzo.

Stecco finalmente ingrana la marcia e gli lancia almeno un paio di bomboni, è un attimo e gli altri lanciano sassi e bottiglie riprendendo coraggio e rabbia nelle mani.
Altri compagni che si trovavano a pochi metri o a poche decine di metri da noi si avvicinano finalmente. Proviamo a compattarci e stavolta finalmente partiamo in carica!
Senza esagerare però…
Ci ritroviamo in mezzo alla carreggiata, alcuni di loro e alcuni di noi, ci fronteggiamo, cinte e bastoni in mano. E’ sempre un maledetto attimo.
Un fascista di merda è di fronte a me ma non mi regge di andargli sotto.
Mi sento le spalle e pure i fianchi scoperti…
E’ un attimo, ci guardiamo, entrambi con i caschi in testa e il passamontagna sotto.
Nessuno dei due fa il passo in avanti per dare il colpo.
Lo stesso accade accanto a me fra Stecco e un altro camerata.
Ci sono altri compagni e e altri fascisti davanti, dietro e ai lati.
Ma io con la coda dell’occhio vedo solo Stecco…
Non ci lasciamo soli, non l’abbiamo mai fatto.
Altri fascisti sono dietro ‘sti du matti.
Altri ancora son rimasti nelle retrovie…

Finalmente arriva un gruppone di compagni in carica
I fasci stavolta scappano a gambe levate.
Davvero.
E io e Stecco ridiamo la carica, fin dentro al mercato dell’Alberone, fin quando non li vediamo scappare di brutto a ‘ste mmerde, fino a quando Valerio, Durruti, Manuel non mi riprendono per il bavero cercando di calmarmi e gridandomi di non infilarmi nel mercato da solo: potrebbe essere una trappola.
Ma quale trappola e trappola gli grido io!
Son scappati e basta, andiamogli dietro, cazzo!!!

Torno sui miei passi sotto braccio ai miei compagni di sempre.
Ma sono talmente incazzato che imbruttisco a Giorgino gli do’ uno spintone così forte che lo faccio volare a terra.
Cazzo sono mortificato! Mi scuso e mi riscuso, mi dispiace un sacco e lo abbraccio.
Lui la prende con filosofia, mi capisce e mi riabbraccia. Io non sarei stato capace di fare altrettanto.
Mi sento carico di rabbia e odio, di gioia per averli messi in fuga ma anche frustrato per la nostra scarsa organizzazione che per poco nun ce fa pija le botte in casa nostra aho’…
Se Stecco non avesse imposto di fare una seria riunione di servizio d’ordine prima di iniziare il presidio ci avrebbero davvero preso alla sprovvista stavolta.
Infatti lui gongola di aver avuto ragione e lo ripete a tutti. Come dargli torto?

Ma altri pensieri mi affollano la mente…
Questo è solo l’inizio di un anno di scontri, penso.
Eppure sento che è la fine per un certo modo di fare gli scontri…

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