A Sole. Campo De’ Fiori (11 Luglio 1998)

 

La notizia fa più male che un pugno nello stomaco.

Sole si è suicidata.

Non ho voglia di fare nulla, né di spaccare la città, né di fare una cazzo di inutile riunione in Via.

Una compagna non c’è più, si è suicidata come atto estremo di lotta al Potere, quello con la P maiuscola, quello totale, l’unico e il solo. Quello che solo i compagni anarchici riescono a vedere, mentre noi comunisti ne cerchiamo sempre di costruire uno nuovo, diciamo migliore, ma poi chissà perché lo costruiamo peggiore.

Una compagna anarchica argentina poi lo sa vedere meglio di tutti e tutte questo potere.

La tua lotta contro il Tav l’hai portata sino in fondo. Chissà se un giorno finalmente ci saranno migliaia di persone che si muoveranno in battaglia contro quel mostro di ferro e vapore. Migliaia, che non faranno sentire più sola nessuna compagna come te.

Chissà…

Forse un giorno migliaia di persone nella Valle che ti ha adottata scenderanno in piazza e riprenderanno anche la tua bandiera, ricorderanno anche la tua lotta e la tua vita.

Forse un giorno davvero non sarai più dimenticata, come invece sta già accadendo ora, a poche ore dalla tua morte.

Forse un giorno in tante e tanti correremo sui sentieri della Valle gridando i vostri nomi, quello tuo e di Baleno, gridando che finalmente sì, siete vivi e lottate insieme a noi.

Ma oggi non è così. Lo sgomento, la paura, l’isolamento, prevalgono sulla rabbia e la solidarietà.

Si sta divisi e si cade uno a uno, soli.

Dalla Valle a Torino, fino qui da noi a Roma, pare sia stata davvero inutile la grande manifestazione dello scorso 4 aprile, quella che si svolse una settimana dopo il suicidio di Baleno.

Siamo sgomenti e silenziosi, fermi e divisi, non è possibile. Non sembra possibile ma è così.

 

Faccio qualche telefonata con il mio nuovo e primo cellulare, che finalmente utilizzo per qualcosa di serio.

L’appuntamento è alle 7 di sera, per decidere che fare. Al solito posto.

Via dei Volsci numero 30.

Siamo pochi, incredibilmente. Poche decine di compagni e compagne per decidere cosa fare in questo caldissimo sabato di luglio.

Per discutere come ricordare Sole, come arrabbiarsi, come comunicare. Perché questo ormai è il nuovo mantra dell’area autonoma-antagonista romana da quando le Tute Bianche ci stanno surclassando su quel terreno. Saper comunicare.

Che stronzata immensa.

Ma te pare che a poche ore dal suicidio di una compagna in carcere se mettemo a discute come comunicare con la gente? Alla ggente de Sole non gliene frega niente, questa è la triste verità, quindi nun damose tanta pena pe’ na massa de pecoroni, senza offesa per i pecoroni.

Scennemo in piazza e sfasciamo tutto!

Altro che volantinaggi di massa e comunicazione alternativa!

Stronzate!

Facciamo esplodere la rabbia, quella la capiranno tutte e tutti ben bene, vedi te.

Facciamo come non siamo riusciti a fare dopo il suicidio di Baleno, pochi mesi fa.

Quel maledetto 28 marzo.

Quando un corteo silenzioso e senza scontri attraversò Roma.

 

Sole si è impiccata con un lenzuolo presso la comunità del Gruppo Abele ove si trovava agli arresti domiciliari dopo la morte di Baleno.

Aveva saputo che era stata rinviata a giudizio, con prove inconfutabili, secondo quel boia di Laudi.

Per che cosa poi? Per un pacco bomba a vernice esploso contro il cantiere del nuovo Palazzo di Giustizia di Torino. Sì, proprio quello che abbiamo mezzo sfasciato durante il corteo nazionale dello scorso 4 aprile. Un palazzo che doveva avere finestre e porte a prova di proiettile, in teoria, per difendere la sicurezza dei magistrati, e che invece era venuto giù sotto i colpi dei nostri mattoni e dei nostri bastoni.

Ecco come spendono i soldi pubblici! Nelle solite grandi opere inefficienti.

Perfino il neo consigliere comunale torinese di Rifondazione, Marco Revelli, fece prendere nota al consiglio comunale della contraddizione che noi sfasciatutto autonomi e anarcosquatter avevamo messo in nuce.

Dovevano darci un premio per aver fatto luce sui pessimi lavori di costruzione del Palazzo di Giustizia. Altroché!

 

Un pacco bomba di vernice, non di benzina o tritolo, ma di vernice era la prova inconfutabile con cui Sole, Baleno e Silvano sono stati sbattuti dentro pochi mesi fa. Con l’accusa di essere dei pericolosissimi terroristi nemici del progresso, ovvero il Tav.

Pensa te che assurdità.

Ah sì, certo. Anche i volantini. I volantini trovati a Silvano che rivendicano diversi attentati in Val Susa negli ultimi due anni.

Ma che se uno ha dei volantini rivendicativi in casa è automaticamente mandante e\o esecutore di uno o più attentati?!

Al limite direi che è un compagno poco furbo, poco attento.

Ma il Diritto non dovrebbe sbattere la gente dentro con queste prove ridicole, o no?

E’ il solito teorema contro gli anarchici, lo Stato ne ha sempre uno pronto nel cassetto, fin dai tempi di Pinelli e Valpreda.

Lo Stato ha paura che questa piccola lotta contro il Tav diventi una lotta di massa, radicale, organizzata. Che mandi in frantumi i sogni del centro-destra e del centro-sinistra che devono far mangiare un sacco di imprese con la Torino-Lione. Maledetti!

Per questo mesi fa hanno costruito questa montatura contro gli anarchici e in particolare contro Silvano, che è proprio della Val Di Susa, contro Edo e anche contro Sole.

 

Baleno si è suicidato a poche settimane dall’arresto.

Baleno si è suicidato quel maledetto 28 marzo.

Sole si è suicidata oggi, 11 luglio.

Forse per seguire il suo amato Baleno, dicono cinicamente e romanticamente radio e televisioni.

Non lo so questo, proprio non saprei dire se è andata così.

Mi sembra troppo presto per dirlo e poi io, noi, siamo così lontani dalla Val Di Susa, dal mondo anarchico. Non saremo noi a sparare sentenze. Meglio il silenzio alle parole fuori posto.

Meglio la rabbia alle lacrime di coccodrillo.

Ci sarà tempo per capire e riflettere, forse per piangere.

Ma ora dobbiamo pensare all’oggi, al che diavolo fare, ora che Silvano resta in carcere, da solo, e son settimane che sta facendo lo sciopero della fame.

Bisogna fare qualcosa cristo de ddio, bisogna aiutarlo, bisogna fermare questi suicidi di lotta di questi compagni e compagne!

Radio Black Out da Torino sta già lanciando appelli per sostenerlo, da dentro e da fuori.

Per non farlo sentire solo, isolato.

 

E noi a Roma che facciamo?

Non basta una riunione, non basta una manifestazione pacifica stavolta.

Un tempo si sarebbe urlato che “…non basta la sfilata, azione diretta organizzata!”

Alla fine noi maglianensi decidiamo comunque di andare in Via.

I compagni anarchici non sono venuti alla riunione. Ne sono passati un paio per dire che loro si stanno organizzando per andare a manifestare in centro.

Io speravo in loro, così come speravo in loro lo scorso 28 marzo, dopo il suicidio di Baleno, per mettere a ferro e fuoco ‘sta città de mmerda, sempre più narcotizzata dal centro-sinistra rutelliano.

E invece niente.

Anche alcuni compagni delle Tute Bianche si sono appena affacciati alla riunione per poi andarsene quasi tutti subito dopo.

Mentre noi autonomi de classe siamo pochi e male organizzati, come al solito.

Alla fine ne esce fuori una cazzo di inutile riunione, lo sapevo.

I soliti compagni pompieri cercano di calmare le acque di noi più esagitati, non vogliono fare casino, scontri, niente. Cazzo, ma se non incendiamo la città dopo il suicidio in carcere di una compagna e quanno lo famo?!

Me ne vado, è inutile avvelenarsi il sangue coi compagni pompieri e indecisi.

Temo che saremo meno che mai all’inutile volantinaggio di massa e comunicativo che si è deciso di fare a Campo de’ Fiori…

L’appuntamento è dunque alle 10 di sera a Campo de Fiori: per fare un volantinaggio, forse un presidio.

Siamo al limite del ridicolo, cazzo. Non sappiamo manco noi che fare.

Arrivo che la cosa più bella della serata è già accaduta: Buontempo è stato preso a calci in faccia!!!

Cazzo, che storia!!! Non ci posso credere, me la sono persa, che rosicata!!!

Vado da Valerio a farmela raccontare per benino.

Mi dice che è andata più o meno così: quando i compagni e le compagne, piuttosto pochini, accaldati e smarriti stavano volantinando guardati a vista dai caramba arriva Teodoro Buontempo detto “Er Pecora”, senza offesa per le povere pecore ovviamente, uscito fresco fresco dal noto ristorante per ricconi di Campo De’ Fiori, pronto a provocare nel giorno del suicidio di una compagna in carcere.

Maledetto.

Lui che dagli anni ’70 ciancia a vuoto di onore e rispetto per i morti è il primo a non averlo, questo rispetto.

Noi lo sappiamo ovviamente che le sue sono parole al vento da 30 anni a questa parte, ma è bene ribadirlo per quei proletari coglioni che allo stadio e nelle periferia ci credono o fanno finta di crederci a queste cazzate sparate da Buontempo e camerati vari.

Insomma Buontempo entra spavaldamente in piazza davanti a centinaia di compagni.

Almeno così racconterà ai giornali e alle televisioni, ‘sta merda.

In realtà entra di soppiatto ben scortato dai suoi camerati, osserva la situazione, si fa vedere piano piano, si ripara dietro i suoi uomini e poi viene riconosciuto dai compagni.

Un paio di nostri allontanano a calci e spintoni i camerati di scorta der Pecora mentre Valerio riesce a dargli al volo un paio di ganci destri che lo mandano giù e quando è a terra infierisce giustamente con un paio di calci alle costole e al viso.

In realtà non gli fa un granché male poiché non gli procura nessuna frattura né al naso né alle costole ma solo qualche escoriazione.

E che cazzo, dico io. Se meni a Buontempo fallo perbene no?!

 

Ho ancora le parole del racconto di Valerio nelle orecchie quando Buontempo ritorna. Il vecchio camerata non è contento della prima provocazione, non gli basta.

Evidentemente il suo obiettivo di farci caricare dalle guardie, come hanno sempre fatto i fascisti, non gli è riuscito la prima volta e ci vuole riprovare una seconda.

Per farci caricare definitivamente dai carabinieri e di conseguenza per farci allontanare dalla piazza, che da tempo i fascisti e i pariolini ci contendono. La vecchia piazza rossa di Campo De’ Fiori in questi anni è sempre meno rossa e sempre più nera, ahimé.

Er Pecora riesce alla grande nel suo intento poiché noi caschiamo ovviamente nella sua provocazione, solo che ci caschiamo seriamente e mica per gioco eh…

Buontempo prova a passare, insultandoci, fra i tavolini e le sedie di uno dei tanti bar all’aperto che si trovano a Campo. Iniziamo a tirare prima un posacenere, poi un bicchiere, poi una sedia e alla fine tutto il tavolo contro di lui e la sua scorta di camerati che tanto spavaldi adesso non sono.

Fuggono miseramente.

E lasciano spazio ai carabinieri.

Un lato della piazza, a pensarci bene più o meno sempre lo stesso dove scoppiano le risse, quello della libreria Fahreneith, è invaso da pochi ma radicali minuti di rabbia.

Dai bar e dai ristoranti accanto alla libreria ove si sussurra che di notte andava perfino il vecchio e mitico Giulio Einaudi, a questo punto prendiamo bicchieri, bottiglie, sedie e tavoli e li lanciamo contro i carabinieri. Volano perfino gli ombrelloni giganti di legno e stoffa e sotto il lancio multiplo di oggetti i pochi carabinieri fanno cento passi indietro, velocissimamente.

I turisti e i romani seduti ai tavoli a prendere il caldo iniziano a fuggire, ma manco troppo in verità.

Si spostano solo poco più in la ma restano nei pressi, cercando di mettersi al sicuro dalla nostra rabbia, per guardare.

In questa società di guardoni delle sceneggiate politico-mediatiche ora sta andando in scena uno spettacolo sempre più raro e quindi più interessante da vedere.

Noi ci facciamo coraggio, siamo in cento, forse duecento, e ci facciamo coraggio.

Gridiamo un coro che ci si strozza in gola: “Sole è viva e lotta insieme a noi, le nostre idee non moriranno mai!”.

C’è un pezzo di movimento arrabbiato e determinato che vuole manifestare la rabbia per il suicidio di una giovane compagna anarchica che si batteva contro il Tav.

Chi oggi, fra i compagni e le compagne, non è sceso volutamente in piazza ha tradito ogni vincolo di solidarietà umana, prima ancora che politica.

Adesso siamo carichi di rabbia e carichiamo i carabinieri prendendoli a bottigliate e sediate fino a farli indietreggiare e ripararsi dietro le loro gazzelle.

A questo punto i carabinieri reagiscono, male.

Come sempre quando sono pochi e hanno paura: iniziano a sparare.

Iniziano a sparare in alto.

Non solo sentiamo i tonfi delle pallottole uno per uno ma li vediamo bene, per quanto siamo vicini.

Cazzo.

Cazzo che paura.

Scappiamo, indietreggiamo, ci dividiamo.

Ci sparpagliamo, non riusciamo a fare uno straccio di cordone, qualcuno si butta dietro i tavoli tipo scena da far west, la maggior parte fugge all’impazzata indietro.

Una mia amica si mette a piangere e grida disperata dietro di me.

Urla che dobbiamo andare via, che così è tutta una follia.

Ha ragione, ha mille volte ragione. E infatti la maggior parte dei compagni e delle compagne, giovani, indietreggiano, ma senza fuggir alla rinfusa, per fortuna.

In pochi restiamo in prima fila.

Il Caid è in prima fila.

Mentre giovani compagni tanto coatti a parole scappano al primo colpo di pistola, il Caid è in prima fila senza scappare, senza lasciarsi intimorire…

Grande Caid!!!

Guidaci!

Io penso a papà ricoverato in clinica psichiatrica per l’ennesima volta e mi carico di rabbia e odio di classe. Avanzo!

Forse il mio è un istinto suicida, ben ereditato da mio padre.

Ma non sono solo ad avanzare e gridare.

Valerio è accanto a me. Siamo un bel manipolo di autonomi adesso e proviamo a riformare una fila mettendo tavoli rovesciati e sedie per costruire una barricata al volo.

Ma c’è chi sbrocca peggio di me: Lucone avanza verso i caramba a mani alzate:“Fermi! Fermi! Che cazzo fate!” Gli grida contro mentre io e Valerio lo richiamiamo perché ci sembra una follia andare avanti così verso quei 4 carabinieri sfigati e impauriti che hanno le armi in pugno. E se ti sparano addosso?!

Siamo pochi e non ci si capisce un cazzo.

I carabinieri riparatisi dietro la loro gazzella sparano in aria, con la pistola e con una mitraglietta.

Di più non saprei e mai lo saprò

Noi riusciamo pure a litigare fra di noi, in questo casino infernale, come al solito.

Il Caid continua a gridare dal microfono contro i carabinieri assassini e non si ferma neanche quando sparano ‘sti maledetti.

Poi giustamente mi sgrida gridando anche a me di non esaltarmi mentre inveisco contro un compagno pompiere.

Siamo alla follia totale.

C’è forse un attimo di pausa.

I carabinieri si attestano dietro le macchine.

Noi ci attestiamo dietro le mini barricate.

Non avanza nessuno, ovviamente.

La piazza è incredibilmente ancora piena di gente. Lontana da noi e dai carabinieri ovviamente, ma ancora piena di gente, che guarda la battaglia.

In fondo è meglio della televisione, no?

Noi siamo decisi a resistere e ci fronteggiamo per alcuni minuti.

I carabinieri si sono attestati dietro le loro gazzelle all’angolo della piazza con via dei Baullari.

Noi dietro la nostra mini barricata a metà fra la statua del grande Giordano Bruno e la libreria Fahreneith. Speriamo che Giordano ci protegga un po’.

Decidiamo di non andarcene.

In pochi davanti ma con alle spalle tanti compagni e tante compagne decidiamo di non abbandonare la posizione.

Fino a che non sopraggiungono i rinforzi: blindati e gazzelle dei carabinieri arrivano sgommando da Corso Vittorio ed entrano da via dei Baullari infilandosi dietro le gazzelle già appostate lì.

A questo punto la metà di noi è già fra Campo De’ Fiori e Corso Vittorio.

L’altra metà indietreggia più o meno incordonata e si va verso Largo Argentina.

Pare che i carabinieri non vogliano inseguirci.

Pare che il capo di gabinetto della Questura Tagliente stia litigando con il capitano dei carabinieri Casarza perché i suoi uomini hanno sparato in una piazza affollata di romani e di turisti.

Pare che mentre litigano non hanno ancora deciso che fare.

Noi ne approfittiamo e iniziamo ad andarcene prima che si mettano d’accordo e ci carichino sul serio.

La nostra rabbia, tanto, è già scemata.

Purtroppo come al solito non ce ne andiamo tutti e tutte insieme e 4 compagni vengono arrestati.

I carabinieri sparano e i compagni vengono arrestati, come al solito.

Ovviamente nessuna inchiesta della magistratura farà luce sulla stupida follia dei caramba di quella sera.

E nessuna controinchiesta di movimento farà altrettanto.

La storia si chiuderà qui.

Il Movimento romano non farà neanche un manifesto per ricordare Sole. Lo faranno gli anarchici e le anarchiche. Da soli.

Il Movimento ha paura di essere accostato ai bombaroli. E non solo quella parte che dialoga con il centro-sinistra ma anche quella autonoma e antagonista fa poco o nulla in questa estate di mmerda.

Se non abbiamo il coraggio di sostenere chi la pensa in parte diversamente da noi ma sta sullo stesso lato della barricata, saremo sempre più divisi e al fine sconfitti, altro che vincitori.

Per una compagna anarchica suicida poca rabbia e tanto silenzio omertoso.

Che schifo che facciamo, cristo de ddio!

 

Estratto del Racconto “Campo De’ Fiori”, incluso nella raccolta “Scontri di piazza”, di Marco Capoccetti Boccia, di prossima pubblicazione con la Lorusso Editore

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Ciao Carla…

Ieri sera in silenzio se n’è andata Carla Verbano.

Ci ha lasciato dopo aver lottato  con tutta sé stessa contro un male che la tormentava da anni, un male che l’ha colpita più volta e che lei più volte ha sconfitto. Alla fine non ce l’ha più fatta e se n’è andata. In silenzio, dolcissima, senza disturbare nessuna e nessuno.

Carla non è stata solo la madre di un compagno assassinato, Valerio, ma è stata l’esempio di una donna e di una madre che fino all’ultimo ha lottato per avere verità e giustizia sull’omicidio del figlio. Carla è stata anche un’amica, una persona centrale per me e per tanti e tante compagni e compagne che non hanno conosciuto Valerio ma che nel suo nome hanno iniziato a fare politica, a lottare, a praticare l’antifascismo.

Carla, soprattutto in questi ultimi anni, è stata la mamma e la nonna di tutte e tutti noi.

Voglio ricordare il suo sorriso, le sue sgridate, la sua forza, le sue contraddizioni.

Tutto ciò che la rendeva umana, forte, coraggiosa.

Adesso è il momento del dolore, della tristezza.

Poi verrà il momento del vuoto.

Perché Carla lascia un vuoto enorme che mi mette paura, un vuoto che in nessun modo sarà possibile riempire.

Ma c’è già, in me, anche il momento della rabbia.

La rabbia contro chi in questo anno e mezzo le ha promesso che avrebbe trovato gli assassini di Valerio, che stava facendo l’impossibile, per rimediare agli errori del passato…

La rabbia contro chi l’ha illusa.

Ora però condividiamo insieme, come compagni e compagne, questo momento così triste.

Domani, giovedi 7 giugno, così come ha voluto Carla, riuniamoci per un ultimo saluto alla Palestra Popolare Valerio Verbano, in Via delle Isole Curzolane 133. Dalle ore 9 alle ore 14 ci sarà la camera ardente. In particolare alle ore 12 ci sarà un momento di ricordo collettivo. Cerchiamo di essere in tante e tanti, uniti, per ricordare Carla, Valerio, e continuare la lotta antifascista.

Ciao Carla, mi mancherai tantissimo.

Marco Capoccetti Boccia

 

 

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“La Merda”

Dopo 5 minuti neanche t’accorgi più che Silvia è nuda in scena.

E devo dire che per un timido come me non è cosa da poco.

Perché di solito la nudità imbarazza più chi è vestita\o che chi è nuda\o.

Ma Silvia ti incanta a tal punto che, dopo 5 minuti neanche ti accorgi più che nuda.

E sei trascinato in una storia che ti spacca in due, che ti inchioda alla sedia, che ti fa piangere, forse un po’ sorridere (anche se in sala un sacco di persone ridevano, ma a me ha fatto più ridere il suo precedente “Patate”. Questo m’ha proprio mozzato il respiro, e basta) ma soprattutto ti pervade come una scossa.

Una storia che ti spiega la storia d’Italia di ieri e, soprattutto, di oggi, meglio di un buon libro. Sicuramente meglio di qualsiasi noioso reportage giornalistico di quelli pubblicati per il 150° anniversario.

Perché questo è teatro vero.

Perché il testo scritto e diretto da Cristian Ceresoli, con una sensibilità estremamente femminile (perdonatemi la banalità…) e interpretato maestralmente da Silvia Gallerano, non ha bisogno di orpelli, finzioni, banalità.

No.

E’ sufficente la presenza di Silvia, nuda, su un altissimo trespolo, in mezzo a un palco vuoto, con le luci che la illuminano e la rendono cieca, di fronte a un pubblico ammutolito, a volte, partecipe, spesso. Incantato, sicuramente.

Una voce e un uso del corpo che non ti permettono di distrarti, uno sguardo folle e lucido, che ti brucia fino alle viscere.

E poi c’è tutto.

L’odio perverso che questa società ha verso il corpo. Femminile.

L’Italia senza più idee e ideali, ridotta a una merce, a uno scambio continuo. Dalla retorica della Patria rinata a quella della Patria venduta e scambiata.

Il potere, che tutto distrugge, anche sé stesso, alla fine.

L’umo che divora sé stesso. E tutto ciò che ha intorno e dentro di sé. A partire dalla donna, come sempre.

Come in un quadro in bianco e nero che mio padre comprò negli anni ’70 e che ho sempre avuto davanti agli occhi sin da bambino.

Non vi dirò null’altro.

Vi dico solo: andatelo a vedere.

Nell’altra e ahimé unica data romana, dopo quella dello scorso 25 maggio al Teatro Palladium.

Venerdi 1 Giugno alle ore 21 presso il Teatro Valle Occupato

Non ve ne pentirete

 

Per info:

http://www.cristianceresoli.it/cristian_ceresoli/index.html

http://www.teatrovalleoccupato.it/sostanze-volatili-materiale-altamente-infiammabile-la-merda-di-cristian-ceresoli-1-giugno-h-21

 

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No alla riapertura dei manicomi! No all’elettroshock!

E così ci riprovate, maledetti.

Di nuovo, maledetti.

Volete riaprire manicomi e ricominciare a fare l’elettroshock, se mai avete smesso di farlo. Maledetti.

Ma stavolta non sarà facile, per voi.

I tempi sono cambiati, le coscienze sono tante e diffuse, le convinzioni profonde.

Non vi daremo tregua

Volete di nuovo internare le persone senza consenso. Avvelenandole definitivamente.

Ma non sarà facile.

Stavolta saremo in tante e tanti ad opporci, con rabbia, consapevolezza e determinazione.

Perché sappiamo cosa avete fatto. E abbiamo paura di quello che volete fare.

Ma questa paura non si trasformerà in panico, si trasformerà in coraggio e volontà di fermarvi.

Poiché non vi permetteremo di fare ancora più male alle persone che amiamo.

Anche a quelle che non amiamo, a quelle che manco conosciamo.

La commissione affari sociali della camera ha approvato la proposta del deputato psichiatra fascista Carlo Ciccioli che, in sintesi, svuota di ogni senso la legge 180 e sancisce la riapertura dei manicomi sotto mentite, ma manco troppo, spoglie.

Poiché Ciccioli e i parlamentari che hanno approvato questo disegno di legge conoscono bene la situazione reale presente nel nostro Paese: conoscono il dolore, la rabbia, la paura, la disperazione di tanti familiari e amici e amiche che soffrono per le persone care, distrutte due volte: dal disagio e dall’abbandono. Da cure che uccidono.

A volte, come famigliari e amici, si riesce a denunciare l’assenza di adeguati percorsi di cura per le persone che si amano. Ma spesso si vive nel silenzio e nella rassegnazione. Ci si affida al caso.

Abbandonati a sé stessi.

Quello che si chiede, da decenni ormai, non sono luoghi di internamento ma possibilità concrete di percorsi terapeutici-riabilitativi nel rispetto della dignità umana, delle relazioni sociali.

Ma questi maledetti parlamentari sanno bene che nessun percorso di cura è possibile senza la costruzione di un rapporto di fiducia tra chi cura e chi deve ricevere cure e rispetto umano. E questo rapporto non si costruisce con la coercizione e la privazione della libertà, ma con servizi territoriali ricchi di risorse e umanità e con un sistema sociale capace di accogliere e comprendere, rispondendo ai reali bisogni che le persone in difficoltà esprimono. Servizi territoriali e percorsi di reintegrazione in un tessuto sociale, in una collettività, attraverso centri diurni e presidi sociosanitari ove famiglie e amici e amiche siano alla pari, in relazione con medici e assistenza per l’obiettivo dell’inclusione e non della discriminazione, esclusione, imprigionamento della persona.

Volete riproporre sistemi di internamento attraverso l’istituzione del “trattamento sanitario obbligatorio prolungato senza consenso” della durata di sei mesi rinnovabile.

Scrivete che “tale trattamento può essere effettuato anche in strutture diverse da quelle previste per i pazienti che versano in fase di acuzie, quindi anche in strutture private accreditate”.

Ovvero le nuove cliniche psichiatriche convenzionate: i moderni manicomi.

Fra le tante e grandi cose ottenute dai movimenti di lotta degli anni ’70, a diversi livelli, ci fu la richiesta di chiusura dei manicomi, ottenuta poi grazie alla legge 180 che mai e poi mai, come sappiamo è stata ovviamente pienamente applicata. Il cosiddetto diritto alla salute mentale non è garantito su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone e cosa ancor peggiore in tutti questi anni, seppure in modo subdolo si sono riaperte strutture che assomigliano ai vecchi ospedali psichiatrici e troppo spesso l’unica risposta sono i farmaci che anestetizzano, annientano, riducono allo zero la persona in difficoltà. E in questa voluta e decisa, dalle istituzioni, scelta di degrado e abbandono in cui vengono lasciate persone in difficoltà psicologica, famiglie, amici e amiche nasce l’idea mostruosa: torniamo ai manicomi!

Ma chiamiamolo in altro modo, ovviamente.

Inutile spiegare con il dialogo a psichiatri e parlamentari che la cosiddetta cura e reintegrazione nel vivere sociale delle persone con sofferenza mentale passa attraverso un percorso di liberazione sociale, culturale, umana, affinché non solo i diritti vengano restituiti contro ogni privazione della libertà e violazione della dignità umana, ma nasca un progetto di vivere comune attraverso la solidarietà e l’amore e non l’odio per chi è diversa\o.

Allora, come sempre, non resta che la lotta.

Non permetteremo la riapertura dei manicomi e l’uso dell’elettroshock.

Non vi daremo tregua, maledetti.

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Non dimenticare la rabbia…a gratis!

Per chi non ha voluto comprarlo in libreria, in questi due anni e mezzo, eccolo, a gratis:

http://www.agenziax.it/imgProdotti/33D.pdf

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Presentazione di “Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta” al Cso Ricomincio dal faro

In occasione dei festeggiamenti per il 25° anniversario dell’occupazione del CSO Ricomincio Dal Faro…

Sabato 28 Aprile 2012 alle ore 19

Presentazione del libro “Valerio Verbano. Una ferita ancora aperta”

di Marco Capoccetti Boccia

Ore 21.30 Monologo dell’attore Tiziano Scrocca

ore 22.30 Spettacolo Teatrale di e con Attrice Contro

“Rosso Vivo”, sulla storia di Valerio Verbano

 

Ingresso + Aperitivo: 5 euro

c/o Cso Ricomincio Dal Faro, Via Del Trullo 330

http://attricecontro.altervista.org/

“Valerio, non un nome su una via ma su tutte le piazze e su tutte le vie”

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Pin va al 15 Ottobre

Pin si aggira sorpreso tra la folla: mai vista così tanta gente in piazza tutta insieme a manifestare! Deve essere davvero una cosa importante, proprio come gli ha detto il suo commissario politico che, a proposito, ancora non si vede. Mondoboia dov’è? Dove sono i suoi compagni?

Si dice che oggi stia scendendo gente in piazza in tutte le città del mondo e proprio i suoi compagni ancora non si son visti!

Ma non importa. In questo momento Pin ha solo una gran fame.

Quando il corteo parte è tutto un gran casino: ci sono gruppi coloratissimi e altri tutti vestiti di nero, c’è gente con il casco in testa e altri con il casco in mano.

Altri senza casco, e basta.

La manifestazione è subito molto ma molto rumorosa: scoppiano bombe e petardi dappertutto.

Pin dopo il primo scoppio si butta a terra, spaventatissimo dal rumore così forte. Ma poi si rialza perché vede che nessuno dei manifestanti si è spaventato: sembrano abituati a queste strane bombe.

Il rumore è fortissimo ma nulla viene distrutto. Perché mai? Si chiede sconcertato Pin.

Quelli che li fanno esplodere devono essere davvero bravi eh, perché Pin non ne riesce a individuare neanche uno, anzi neanche capisce dove esplodono queste strane bombe che lui non ha mai visto: fanno tanto rumore ma non distruggono nulla.

Ma allora perché le tirano?

Per diventare tutti sordi?

Bah…

Pin prova a seguire tre ragazzotti completamente vestiti di nero con tanto di cappuccio tirato sopra la testa e un fazzoletto davanti alla faccia: ma non è un fazzoletto rosso, come quelli della sua Brigata e neanche un fazzoletto tricolore. É un fazzoletto nero.

Ma perché son vestiti di nero? Mica saranno fascisti? Pin prova a chiederlo a un ragazzotto che però non gli risponde. Pin non ama il colore nero perché gli fa paura, gli ricorda troppo, ma davvero troppo, quello delle camice nere, poiché Pin è troppo giovane per ricordarsi che il nero era il colore degli anarchici, quello che indossava sempre lo zio di suo cugino Metello.

Pin, che è povero, si veste piuttosto di stracci e i colori spesso e volentieri son abbinati a casaccio fra di loro.

In fondo per Pin i colori importano poco: l’unica cosa che importa è il sentiero dei nidi di ragno.

Poi Pin vede che uno di loro ha disegnata una A cerchiata sopra il suo strano zainetto.

“Ah ecco!” grida Pin, “siete anarchici non camice nere, mi sembrava strano…in fondo siete vestiti da straccioni, proprio come me! Bravi bravi”.

Pin un po’ gli stanno simpatici questi tipi e prova a parlare con loro ma sembra che nessuno lo veda o lo ascolti. Perché mai? È troppo piccolo? Ancora con questa storia?!

Pin cerca di vedere come sono fatte queste strane bombe, cerca di capire chi le tira e dove e perché non le tirano contro la polizia o contro le caserme o contro le sedi dei fascisti, ma solo negli angoli delle strade.

Ora ha capito che le tirano negli angoli per non far male a nessuno, perché siamo tanti, davvero tanti. Ma così fan diventare tutti sordi e spaventano cani e bambini di cui stranamente questa manifestazione è assai piena.

Non fa in tempo a capire che cosa stanno facendo i ragazzi con le strane bombe che a un certo punto vede che accendono dei fumogeni, bianchi, rossi e di altri colori. Ma che stanno facendo?

Ah sì, pensa Pin, li usano come copertura perché ora vorranno attaccare la casa delle camice nere che si trova a poche centinaia di metri dal corteo! Vogliono usare questi fumoni per nascondersi e attaccarla poi con le strane bombe e chissà cos’altro, pensa Pin.

“Bravi bravi! Andiamo a dare una lezione alle camice nere!”, grida Pin al vento.

Ma invece no. Proprio per niente.

“Ma perché non attacchiamo la casa delle camicie nere?!”

Pin non capisce cosa sta accadendo e vede però spuntare fuori all’improvviso una scala.

E cosa ci faranno mai con una scala?

Salgono sul tetto dell’hotel!

Ma che matti che sono!

Incredibile!

Calano uno striscione dal tetto e adesso staccano pure le bandiere…ma che diavolo fanno?!

Incredibile! Incredibile! Bruciano il tricolore! Bruciano il tricolore!

Ah…se il suo commissario politico fosse qui li ammazzerebbe! Ma dovè il commissario? Perché ancora non è arrivato? E gli altri della Brigata? Dove sono?

Parla sempre dell’internazionalismo, il suo commissario politico, eppure dice che il tricolore non si tocca, va esposto sempre insieme alla bandiera rossa: Pin gli chiede sempre: ma allora di che cavolo di internazionalismo parlate tu e il tuo grande partito?

Bah…

Ma adesso che fanno?! Che succede?!

Ma perché si mettono tutti i caschi in testa e si coprono il volto?

Ma che diavolo sta succedendo adesso? Dove vanno tutti quelli incordonati, eh?!

Bum bum bum!!!

Mondoboia è venuta giù la vetrina di questo enorme forno! Il forno è attaccato!!

Pin non aveva mai visto un forno così grande, pieno di scaffali e di luci e di ogni tipo di cibo e non solo pane.

“Bravi! Bravi! Bravi! Dai dai dai prendiamoci da mangiare, dai che c’ho fame!”, grida Pin.

Pin è felice dell’attacco allo strano ed enorme forno ma rimane stupito che quelli dell’assalto, che son entrati dentro, ora buttino la carne impacchettata per terra. “Ma che fate?! Siete matti?!”

Pin prova a fermarli, a gridargli di non buttare le cose da mangiare per terra, ma pare che nessuno lo ascolti.

Perché non hanno preso dei panini e del prosciutto? Ma cavolo non hanno fame come me?

Si chiede Pin un po’ confuso, adesso.

Pin resta esterrefatto quando viene rotta la Madonna: il suo commissario politico gli ha insegnato che non bisogna rompere i simboli della religione perché appartengono al popolo e non alla Chiesa.

Ma il suo commissario politico gli dice pure che la religione è l’oppio dei popoli.

Certe volte, a Pin, gli sembra che il suo commissario politico sia confuso come il partito a cui appartiene…

Ma che succede in questa manifestazione? Si chiede stordito Pin.

Perché sfasciano addirittura la statua della Madonna?
Oddio se li vedesse Don Pietro volerebbero schiaffoni per tutti! Più forti dei manganelli della celere!

Eppure quel ragazzo che rompe la statua della Madonna non viene fermato da nessuno ma tanti e tanti lo incitano e lo applaudono! Un po’ di altra gente però gli grida “teppista, fascista, via di qui”.

“Ma no, ma no, fermi che fate? Non è un fascista, non sono fascisti! Anche io mi sono sbagliato prima! Sono anarchici! Ma che non sapete riconoscere la differenza? Sono compagni come noi, fermi non li spintonate!”.

Ma perché alcuni si incazzano così tanto con quelli vestiti di nero? In fondo è solo una statua della Madonna, e che sarà mai! Ma questo non è un corteo di comunisti e anarchici? Pensa Pin sempre più confuso.

Pin è sempre più stordito: qui succede tutto e il contrario di tutto, e che cavolo!

Eppoi quella statua è una rappresentazione falsa: lo sanno tutti che la Madonna era ebrea nata in Palestina, provincia dell’Impero Romano. Non era quindi né bianca né bionda!

Ma poi che ve frega?

“Pensiamo a decidere dove andare forza!”, grida Pin.

“Andiamo al Palazzo del Governo, no?! Esatto?!”

“Forza attacchiamo il palazzo del Governo fascista!” grida Pin all’impazzata.

Ma il corteo sembra andare da un’altra parte, verso Piazza San Giovanni.

“Ma forse i fascisti hanno spostato la sede del governo? L’hanno messa a San Giovanni?”, chiede Pin, poco pratico della città.

Pin inizia ad aumentare il passo, il fumo dei fumogeni e delle strane bombe ormai ha oscurato tutta la strada che porta dal vecchio Colosseo fino all’angolo ove tutto si fermerà, almeno così dicono.

Il camion si fermerà, il corteo non entrerà nella grandissima piazza San Giovanni e tutto dovrebbe finire, non s’è capito ancora come, però. Ma tutto dovrebbe finire.

Quelli del camion dicono che non entreremo in piazza: ma allora dove diavolo andremo?

Ma soprattutto per quale cavolo di motivo il camion con tutte quelle persone che lo seguono continua ad andare dritto proprio verso Piazza San Giovanni?

Pin è confuso, ma, in questa confusione vede che un gruppo di manifestanti sembra avere le idee chiarissime: sembrano molto seriosi non si lasciano sconvolgere da quello che accade intorno a loro, sembrano decisi e determinati, sono tutti incordonati, hanno felpe nere, oppure rosse, hanno tante bandiere rosse senza falce e martello ma con una stella ove brilla la scritta Autonomia.

Questi non tirano bomboni a cazzo di cane ma avanzano uniti e compatti, forse verso il sol dell’avvenire, direbbe il suo commissario politico, se non li accusasse di essere estremisti malati infantilisti o come cavolo dice lui.

All’angolo del bar dedicato alle due squadre più importanti della capitale Pin si trova insieme a un sacco di gente. Questi autonomi e tanti anarchici e tanti ragazzotti vestiti di stracci come lui ma tutti egualmente determinati e arrabbiati. Dietro le sue spalle Pin vede un sacco di fumo, fumo nero di un incendio, che Pin sa bene distinguere da quello bianco dei lacrimogeni.

“Ma cosa diavolo sta andando a fuoco laggiù?”, grida Pin ai manifestanti accanto a lui.

Ma a Pin non risponde nessuno forse perché un secondo dopo parte la carica dei blindati.

Nessuno sbirro scende a piedi per picchiarli ma provano a tirare giù i cordoni caricandoli direttamente coi blindati: cazzo che paura che fanno!

Pin scappa scappa scappa insieme a tanta altra gente arrabbiata e pronta allo scontro ma pronta anche a scappare.

Ma Pin vede che un gruppetto di gente particolarmente arrabbiata e determinata non ci sta a scappare senza far nulla, senza difendersi e allora li vede reagire alla vecchia maniera, finalmente: niente semplice lancio di bomboni stavolta. Provano a costruire una difesa seria in questa strada larga e lunga come il lungomare di Genova: provano a fare una bella barricata mettendo in mezzo le macchinone parcheggiate ai lati per impedire ai blindati di arrivare fin addosso ai manifestanti.

Pin all’improvviso vede un tizio, con la bandiera rossa, che prova a coordinare le azioni di resistenza: ma in pochi gli danno retta, lui si sgola e grida che non bastano cassonetti e transenne di ferro per bloccare i blindati ma servono delle vere e proprie barricate con le macchine, che vanno pure incendiate all’occorrenza e poi da dietro le barricate, al riparo dalla violenza dei blindati si può cantare slogan e lanciare bomboni e pietre e bottiglie quanto si vuole. Ma solo al riparo delle barricate.

Ma questo vecchio comunista pare sia ascoltato da pochi, i ragazzini vestiti di nero perlopiù mordono e fuggono, alla scozzese, e sembra che stiano facendo una rissa da stadio invece che uno scontro di piazza con i migliori reparti della polizia italiana.

Mondoboia dov’è finito il camion?

Ma dove sono finiti tutti quei compagni che megafonavano e gridavano tanto, adesso? Si chiede Pin sempre più smarrito e confuso.

Non ci si capisce più niente, proprio niente.

Il corteo è stato spezzato in due tronconi e nessuno si preoccupa di riunirlo

Non c’è un’organizzazione, gli direbbe il suo commissario politico.

E su questo Pin non può che dargli ragione.

Anche se Pin si chiede: dove cazzo sta adesso che serve il commissario politico e tutti i grandi del partito? Ma dove sono finiti tutti i grandi capi e compagni adesso che serve un po‘ di aiuto e di esperienza?

Dormono da piedi???

Il dilemma se andare in piazza o no alla fine l’ha sciolto la polizia: con una bella carica ha spinto di gran lena tutti coloro che non volevano andarci, lì dentro, mentre ha lasciato fuori, paradossalmente, tutti quelli che ci volevano andare.

La polizia ha un senso dell’umorisimo tutto suo, si sa.

Il problema è che ora non riesce più a cacciarli dalla grande piazza i manifestanti che non ci volevano andare.

Pin compreso.

Le cariche si susseguono una dietro l’altra: ma ad esse si susseguono anche le controcariche dei manifestanti! Che non demordono, non si arrendono, non mollano.

E così Pin si accomoda tranquillo a vedere il gran balletto tra l’idrante della polizia e un gruppo di manifestanti che, ben nascosti come banditi di Sherwood fra la foresta, si son appollaiati fra gli alberi e le siepi del giardinetto al lato della grande e vecchia Basilica.

Mondoboia sarà un’ora che son piazzati lì e non riescono a tirarli fuori: che grandi che sono!

Adesso Pin e il gruppo cui si è unito vengono caricati da più lati e spinti fuori dalla piazza mentre altri gruppi restano imbottigliati dalla celere fra la statua di San Francesco e la Basilica del Santo Giovanni.

Pin si aggira fra le fiamme dei blindati che bruciano e il fumo dei lacrimogeni che si fa sempre più acre e amaro quando una spruzzata d’acqua fredda lo investe all’improvviso.        I poliziotti lo hanno preso in pieno inzuppandolo come un pulcino nero. I soliti stronzi.

Il suo fantasma si aggira senza che nessuno lo ascolti.

Marco Capoccetti Boccia

Di prossima pubblicazione sul numero 17 della rivista “Laspro”

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Presentazione de “Valerio Verbano una ferita ancora aperta” alla Casa della Memoria e della Storia

Il Circolo Gianno Bosio presenta:

“Valerio Verbano una ferita ancora aperta. Passione e morte di un militante comunista”
di Marco Capoccetti Boccia
Castelvecchi Editore

Giovedi 23 Febbraio ore 17.30
Casa della Memoria e della Storia
Via San Francesco di Sales, 5

Introduzione a cura del Circolo Gianni Bosio
Relazioni a cura di Michele Colucci e Guido Panvini

Sarà presente l’autore

 

Michele Colucci è ricercatore presso il Cnr, Istituto di studi sulle società del mediterraneo. Insegna storia contemporanea presso l’Università della Tuscia e presso il master in Politiche dell’Incontro e della Mediazione Culturale all’università Roma 3.

Gli interessi scientifici ruotano prevalentemente attorno allo studio della storia contemporanea, con particolare attenzione verso i fenomeni migratori. Si occupa di storia del lavoro e di storia delle istituzioni. Collabora regolarmente con l’Imes (Istituto meridionale di storia e scienze sociali), il Centro Studi Emigrazione di Roma, il Museo storico della liberazione di via Tasso di Roma, il Museo regionale dell’emigrazione di Gualdo Tadino (Pg), la Fondazione Migrantes.

Per Donzelli ha pubblicato, fra le altre Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa, 1945-57, Donzelli, Roma 2008

 

Guido Panvini è dottore di ricerca presso l’Università della Tuscia (VT) e svolge attività di ricerca all’Università degli Studi di Macerata. Studioso della violenza politica e del terrorismo dell’Italia degli anni Settanta, è autore di articoli e saggi pubblicati in libri e riviste scientifiche.

Si laurea nell’a.a. 2002/2003 con il voto di 110/110 e lode presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza , con una tesi di Storia Contemporanea, relatore Prof. Vittorio Vidotto, intitolata “Conflittualità giovanile nella Roma degli anni ’70. Lo scontro tra estremismo di destra e sinistra extraparlamentare. Dalle origini al terrorismo diffuso (1969-1980)
Per Einaudi ha pubblicato Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (1966-1975) («Einaudi Storia», 2009).

“A Roma la figura di Valerio Verbano è stata assunta a simbolo dell’antifascismo militante dal movimento antagonista in tutte le sue declinazioni e negli anni, dal momento del suo omicidio a oggi, sono state organizzate, ogni 22 febbraio, manifestazioni che lo ricordano. Questo libro, attraverso una ricerca e una lettura accurata di fonti d’archivio, fonti processuali, fonti documentali e fonti orali ne racconta la vita, la militanza politica e l’assassinio”.

Su:

http://ramingo.noblogs.org/valerio-non-un-nome-su-una-via-ma-su-tutte-le-piazze-e-su-tutte-le-vie/

è disponibile la mostra dei manifesti dedicati a Valerio Verbano dal 1980 al 2011.

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Tutte\i Libere\i !!!

Il giorno 9 febbraio si è tenuto il processo contro Robert, giovane compagno di Varese arrestato il 15 ottobre, per il quale l’allora ministro Maroni chiese l’espulsione immediata. Robert è stato condanato a due anni, da scontare ai domiciliari, per resistenza pluriaggravata e lesioni a tre agenti di polizia. E’ stato condannato a pagare le spese processuali e il risarcimento danni contro Atac, Ama e Roma Capitale, che si sono costituiti parte civile. Una sentenza scandalosa, una sentenza tutta politica che mira a spaventare Robert, la sua famiglia, i suoi amici e amiche. Che vuole essere un deterrente per chiunque voglia continuare a ribellarsi. Dopo la condanna a tre anni e 4 mesi a Giovanni, che dal 15 ottobre si trova in carcere per il reato di resistenza pluriaggravata, ecco un nuovo capro espiatorio che paga per tutte e tutti noi, per la rivolta di piazza contro la brutalità delle forze dell’ordine, il 15 ottobre 2011. La repressione contro il movimento è sempre più intensa, come tutte e tutti sappiamo, il 26 genaio sono stati arrestati molte militanti NO TAV in tutta Italia, molti di loro sono tutt’ora sottoposti a diverse forme di detenzione: in carcere, ai domiciliari, con obbligo di firma o dimora. A loro va tutta la nostra solidarietà militante, così come dimostrato lo scorso 28 gennaio quando abbiamo manifestati davanti al carcere di Regina Coeli in solidarietà con Damiano, compagno de l’Università La Sapienza, che ora è stato scarcerato e si trova ai domiciliari.

Sit-in e comunicati, però, non bastano; dobbiamo far sentire forte e generosa la nostra solidarietà. Alcune compagne e compagni si sono attivate, non solo per dare un appoggio concreto a chi è denunciato o a chi si trova tuttora in carcere ma anche per costruire una rete di relazioni  e collaborazioni duratura nel tempo, che si muova contro il carcere i cie e che mantenga viva l’attenzione sul tema della repressione più in generale. Abbiamo chiamato “Evasioni” questa rete solidale, che vorremmo aperta ai contributi di tutte e tutti coloro che vogliono immaginare una società che non si basi sulla reclusione e sull’allontanamento.

Per continuare a tenere viva la solidarietà nei confronti dei denunciati della giornata del 15 ottobre e per non lasciare sola o solo chi continua ad essere rinchiuso dentro una cella maledetta lanciamo: che nessun* resti sola!

Partecipiamo in massa ai prossimi processi a Piazzale Clodio:

14 Febbraio, ore 12:00 processo contro Ilaria e Stefano, arrestati il 15 ottobre

17 Febbraio:

ore 9.00 conferenza stampa e presidio per il processo contro i compagni solidali con la Palestina lanciato dalla Rete romana di solidarietà per la Palestina

ore 11 presidio contro il processo ai compagni e alle compagne della ex scuola occupata 8 Marzo di Magliana

22 Febbraio ore 9: processo contro due ragazzi arrestati dopo il 15 ottobre

23 Febbraio ore 10 presidio a Piazza Cavour per l’udienza in Cassazione del processo contro la Rete del sud ribelle

Evasioni

Rete contro il carcere, i Cie e la repressione

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No alle Olimpiadi a Roma!

Quando con mio padre passavamo in macchina sull’olimpica mi diceva sempre la stessa cosa: questa strada fu costruita per le olimpiadi di Roma ’60.

Prima non c’era.

E’ una strada utilissima perché collega un pezzo di città con un altro pezzo di città: velocemente, molto velocemente. Ma c’era sempre una nota di tristezza nella sua voce quando diceva questa cosa poiché in fondo Villa Pamphili, la più bella e grande Villa di Roma, vero polmone verde della città, era stata ferita. Era ancora viva, sì, ma era stata ferita tagliata in due..profondamente e per sempre, a meno che qualche pazzo visionario sognatore un giorno non chiuda la strada, quel tratto dell’olimpica, e la riempia di nuovo di terra e alberi…

Forse era quello che in fondo desiderava mio padre, perché prima dell’Olimpica, Roma era una città più piccola e più lenta, con più prati selvaggi e meno cemento, con più alberi e meno palazzoni grigi. Era la Roma in cui lui girava in bicicletta per andare a consegnare il latte prima di andare, a piedi, a scuola. Era la Roma in cui si giocava a pallone in campetti improvvisati di terra, poca, e sassi, tanti. Era la Roma in cui lo sport si diceva fosse ancora una passione popolare, soprattutto il calcio e il ciclismo.

Poi con le Olimpiadi divenne l’industria che tutte/i conosciamo oggi.

Ma queste sono ricostruzioni nostalgiche che poco contano e forse neanche son del tutto vere.

Quello che è vero è che Roma non ha bisogno delle Olimpiadi nel 2020 poiché con esse si arricchiranno solo politici, palazzinari, banchieri, assicuratori, speculatori di ogni sorta e malavitosi e malavitosetti vari. A impoverirsi e a soffrire sarà certamente  la città, dove aumenteranno i metri cubi di cemento e i morti sul lavoro (do you remember quanti ne morirono nei cantieri della maledetta Italia ’90?).

Roma non ha bisogno di ingrandirsi ma di ridimensionarsi. Di rimpicciolirsi proprio, direi. Roma ha bisogno di recuperare palazzi abbandonati al degrado e alla speculazione e ristrutturarli al fine di dare casa ai senza casa, di aprire ospedali e presidi sanitari, biblioteche pubbliche e centri anziani, asili e scuole, palestre popolari e non di chiudere spazi socio-sanitari come hanno fatto finora le giunte di centrodestra e le giunte di centrosinistra. Roma ha bisogno di diventare a misura di bambina\o innanzitutto, prima di continuare a essere a misura di speculatore.

Stiamo ancora pagando lo scotto dei mondiali di nuoto, pensate che disastro ecologico-sociale porteranno in città le Olimpiadi!

E infatti, chi le sostiene oltre ad Alemanno e la Polverini, la Camera di commercio e la Fondazione Roma? I professionisti e le professioniste dello sport, da Totti il Pupone (ma a proposito quando crescerà mai?) fino a quel fascista di Buffon, passando per quell’antipatica della Pellegrini per finire con quell’idiota evasore di Valentino Rossi. Tanto a loro che gliene importa, saremo noi a vivere fra buche e cantieri infiniti (come se ce ne fossero pochi in città..), fra trasporti pubblici ancora più stracolmi e sempre meno efficenti, fra cartelloni pubblicitari sempre più invadenti al punto che ce li ritroveremo pure sui singoli balconi, per non parlare di quanto aumentaranno le merci, tutte, in città.

Le Olimpiadi saranno un disastro: fermiamole fino a che siamo in tempo.

Le Olimpiadi non saranno in alcun modo un bene comune per la città, ma solo una calamità non naturale ma capitalistica… impediamo che si facciano !

Rispondiamo noi all’appello di Alemanno e degli sportivi a Mario Monti: mandiamoli dove si meritano e lottiamo per un nuovo modello di sviluppo socio-culturale della città, che non preveda le Olimpiadi e i grandi maledetti eventi nel proprio percorso.

Marco Capoccetti Boccia

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