I consultori non si toccano

I consultori sono uno degli ultimi servizi sanitari rimasti gratuiti (senza ticket) e aperti a tutte e a tutti.

Che cosa fanno concretamente? Visite ginecologiche e pediatriche, corsi pre-parto per mamme e papà, consulenza e prescrizioni mediche sui metodi anticoncezionali e sull’aborto, gratis, e senza pregiudizi religiosi.Tutto questo allo scopo di incentivare una paternità e maternità responsabile, e di proteggere la salute delle donne

.Il consultorio di Magliana, per chi non lo conosce, è un posto frequentatissimo da ragazze, donne, mamme, papà e bambini del quartiere, di tutte le nazionalità.Tutto questo rischia di sparire

!La Regione Lazio sta per approvare la cosiddetta “Legge Tarzia”, che prende nome dalla consigliera Olimpia Tarzia, integralista cattolica eletta nella lista Polverini.

Questa legge, di ispirazione medioevale, si propone di privatizzare i consultori e darli in gestione ad associazioni religiose.In questo modo mette d’accordo sia i finanzieri che vogliono una sanità a pagamento, sia la Chiesa Cattolica che vuole (oltre ad un po’ di soldi che non guastano mai) sacrificare la salute delle donne in nome di improbabili “diritti dell’embrione”.

Se non vuoi che siano i preti a dirti quando e come crescere i tuoi figli o figlie

.Se pensi che la sanità debba essere pubblica e gratuita.

Se pensi che le donne non siano incubatrici che camminano.

Se vuoi difendere ciò che è stato conquistato con le lotte.

Partecipa alla raccolta di firme contro la proposta di Legge Regionale Tarzia contro i consultori.

Puoi firmare al consultorio, oppure al CSOA Macchia Rossa, oppure ai banchetti per le strade del nostro quartiere.

CSOA Macchia Rossa – Via Pieve Fosciana 56 – 82

www.inventati.org/macchiarossa_______________________________________

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Utopie resistenti

Recensione de "Non dimenticare la rabbia" di Giacomo Russo Spena

da "Il Manifesto" Roma, 20/02/2010

 

«Riusciamo ad avere un breve contatto con questi stronzi che iniziano a
gridare “Boia chi molla è il grido di battaglia”. Sono quei bastardi
fascisti del Commandos Tigre. Bene. Mi infiammo ancor di più mentre i
nostri nazi si fermano, quasi sorpresi di trovarsi di fronte a
milanisti camerati. Erano convinti di trovare zecche del Leoncavallo
aderenti alle Brigate Rosso Nere e alla Fossa dei Leoni. Invece niente
compagni ma solo poche decine di ultras fascisti». E giù botte.

Per
vendicare l’uccisione di Antonio De Falchi, romanista, morto nell’89, a
diciannove anni, dopo un’aggressione dei tifosi milanisti. Il racconto,
un po’ romanzato, della vendetta giallorossa a Milano, dell’anno
successivo, è vista dagli occhi di un ragazzo «ribelle», di borgata,
che in quel momento odia i camerati dei Commandos Tigre. La stessa
rabbia porta il giovane a scontrarsi con la polizia in manifestazioni
del movimento studentesco o in difesa di Ocalan, allora «ospitato» in
Italia, o durante un picchetto antisfratto nella sua Magliana
(periferia sud della capitale) o a picchiarsi con i fascisti dopo la
riunione nel proprio centro sociale.

In totale sono 12 storie di stadio
e piazza che danno vita al libro Non dimenticare la rabbia di
Marco Capoccetti Boccia. L’autore, al suo primo lavoro, vuole
raccontare un decennio, quello che va dall’89 al ’99, dimenticato o
comunque non narrato dall’interno. Lo fa usando il linguaggio ruvido
della strada, descrivendo scazzottate nei dettagli, i volti coperti, le
bastonate, le sassaiole contro la celere. Ma l’estetica dello scontro
non è fine a se stessa: si parla di utopie resistenti, di giovani a
loro modo ribelli e di resistenze diffuse. «Anche la letteratura
indipendente e underground – afferma lo scrittore – si è soffermata
principalmente sui movimenti negli anni ’70 e ’80 o sul popolo
no-global successivo a Seattle. Nel mezzo c’era un gap che ho voluto
colmare».

Parlando di protagonisti dimenticati e messi nell’ombra. Ne
esce un libro vivace, scorrevole nella lettura, capace di incuriosire
chi quegli anni non li ha vissuti o li ha solo sfiorati. «Un bombone
viene fatto esplodere dentro la sede della compagnia aerea turca. Il
botto rimbomba paurosamente in tutta la piazza. Esplodiamo di gioia!
Iniziamo a gridare ‘Kurdistan libero’ a squarciagola, e per un attimo
sembra che tutta la piazza ci venga dietro, in migliaia gridano insieme
a noi…», racconta il brano sugli scontri a Roma per protestare contro
la svendita di Ocalan del governo D’Alema. La storia più
veritiera.
Perché molte altre sono romanzate, partono da spunti reali
per poi dar spazio alla fantasia: i feroci scontri tra gli elfi (sic) e
la polizia avvengono nel cimitero Verano, gli agenti sparano. Come
avvenne al funerale di Valerio Verbano. Infine, qualche pillola è
inventata di sana pianta: è il caso, ovviamente, degli attivisti che
prendono il Quirinale, dopo un assalto, e fanno sventolare la bandiera
rossa dal palazzo. La famosa canzone Comunisti sulla capitale, intonata
nelle piazze per generazioni, docet. «Ho voluto estrarre i racconti
dalla realtà – spiega Capoccetti Boccia – Per far sognare e
impersonificare maggiormente i lettori». Ne esce un ibrido, dove a
volte non si capisce quando termina la cronaca e comincia la fantasia.

Il libro, che è la raccolta di 15 anni di narrazioni dell’autore,
alterna episodi di ribellismo politico a quelli di tipo teppistico
negli stadi: la composizione della curva romanista alla fine degli anni
’80, però, era molto differente da quella attuale, poche erano le
presenze fasciste. Per lo scrittore, all’epoca, gli ultras
rappresentavano veramente un movimento di contestazione: «Sciarpe
nascoste, passo veloce, cinte alle mani. Nessuno di noi ha più di
vent’anni, di cui almeno due passati a fare gli scontri allo stadio o
nelle strade. Non accettiamo compromessi. Né con la società, né con i
capotifosi ormai omologati. Siamo noi il futuro della curva», così
recita una delle parti finali del libro.
La storia è andata
diversamente, tanto che l’autore non frequenta più il mondo ultras e ne
parla con distacco. Rimane la speranza di ribellione delle nuove
generazioni: caparbie nello scontrarsi contro il conformismo nelle
strade, nelle periferie e, anche, negli stadi.

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Non dimenticare la rabbia, recensione di Sara Trabalzi

Non dimenticare la rabbia solo in apparenza è un libro sul cal­cio: male­d­u­cato, aspro,
urlato; istan­ta­nea di una realtà che con­tinua ad offend­erci,
affronta un decen­nio, che va dall’89 al ’99, e che non è ancora stato
rac­con­tato del tutto, e Marco Capoc­cetti Boc­cia sa farlo con la
vivac­ità di chi l’ha vis­suto dall’interno.

Le dod­ici sto­rie che com­pon­gono il libro, sono rac­con­tate con
un lin­guag­gio che assec­onda la mate­ria: crudo, capace di donare al
let­tore il ritratto di un Paese spac­cato e in perenne con­flitto. Per
la mag­gior parte ambi­en­tato nella per­ife­ria romana, mar­gine
con­fuso e fer­ito, da cui proviene il pro­tag­o­nista, un gio­vane
dici­as­set­tenne ultras.

Ma per lui la curva è una dimen­sione di lotta e di con­tes­tazione,
un mondo in cui per esistere bisogna essere sem­pre in prima linea.
Tanto è vero che la trasferta a Milano avviene solo per ven­di­care
Anto­nio De Falchi ucciso dai tifosi rossoneri nell’ ’89. Capoc­cetti
Boc­cia, per­ciò, ci porta in un mondo in cui le città sono bar­ri­cate
e gli stadi trincee, e quella della battaglia rap­p­re­senta l’unica
strada pos­si­bile per la sopravvivenza.

 dal sito:

http://www.luminol.it/luminol/

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Cosa mancava? mancava la rabbia! Recensione di “Non dimenticare la rabbia” scritta da Fabrizio Gabrielli

Ci son stati, e non mi
vergogno ad ammetterlo, giorni freddi e lontani in cui ho accompagnato
Gionata in libreria. Gionata, che era amico mio e portava – credo
ancora porti – quell’epiteto con disarmante nonscialanza, varcava la
soglia della libreria poche volte l’anno, e solo per espletare la sua
personalissima missione. Aveva pure un nome, Missione Cinquantuno, e
consisteva, in soldoni, nello strappar di trafugo la pagina numero
cinquantuno a certi libri. Non importava che gli piacessero o meno, che
fossero libelli tascabili o tomi enciclopedici, illustrati o mal
rilegati. Estraeva dalla pila, sfogliava, s’accertava che nessuno lo
guardasse e tac, strappava pagina cinquantuno.
Ora s’avvicina
Natale, e Gionata va a finire che lo rivedrò per le feste.  Dovrei
fargli un regalo, forse, mi son detto, e memore di ciò che sempre
ripeteva – i libri non si regalano per Natale! va bene qualsiasi altro
giorno, ma a Natale no! – gli comprerò, credo, proprio per farlo
contento, un libro. Perché vedete, io son mica d’accordo con Pennac
quando dice che i libri Dio ce ne scampi e liberi da chi li
impacchetta, che ognuno dovrebbe potersi scegliere le letture che
vuole, che esiste il diritto a non leggere. Gionata non cell’ha mica,
il senso del discernimento. Non sceglie da sé nemmeno le cravatte da
indossare o il profumo con cui cospargersi, per dire. È la smentita
ufficiale ad ogni common-place. 
 Per questo, legandomi come Ulisse
al vello dei caproni che in questi giorni affollano una delle librerie
della mia città, Civitavecchia – e badate bene che la libreria si
chiama Odissea, in un’eclatante continuità metaforica – mi sono
avventurato tra pile di Twilight La Saga e brunovespiche mellifluità
alla ricerca del regalo perfetto.

In libreria, sotto Natale,
incontri persone che non hai mai incrociato, in libreria, se non a
Natale. Ed è stupefacente la sensazione d’imbarazzo racchiusa in un
come mai da queste parti?, ché ti dovrebbero risponder male, a
comprendere la boutade, ed invece mah, allargano le braccia, sollevano
le spalle, come a suggerirti beh, è Natale, siamo in libreria, che vuoi
farci?, la solita routine, il solito trantràn.

Ho sentito parlare d’un libro,
ultimamente, un libro che si chiama Non dimenticare la rabbia, che è
stato scritto da Marco Capoccetti Boccia ed edito da AgenziaX. Ho letto
anche la sinossi, sul web, e prima della sinossi m’ha colpito il
sottotitolo, di Non dimenticare la rabbia, che recita “storie di stadio
strada piazza”. Ho riflettuto a lungo sul legame imprescindibile che
sembra sussistere tra lo stadio e la strada, quella stadia profumosa di
bitume frammisto a sangue e incazzatura sociale, un legame aldilà della
consonanza, intendo, tanto che si potrebbe quasi arrivare a definir
‘stradio’ quel non-luogo borderline nel quale s’accumulano tutti
gl’afflati di rivendicazione, di rabbia mal sopita e mai metabolizzata
di certi eroi romantici dei nostri tempi.

A Gionata sarebbe piaciuto,
credo, Non dimenticare la rabbia, non foss’altro perché, tra le righe
della sinossi, brillavano d’iridescente e malsana pericolosità certe
parole, “sciarpe nascoste”, c’era scritto, “cinte alle mani”, ancora,
“linguaggio ruvido della strada”, nel libro di Capoccetti Boccia.

E mi sono immaginato la trama,
io, di Non dimenticare la rabbia, le avventure di quell’ultrà qualunque
che è un po’, se vogliamo, il perfetto ritratto di ogni golem pasciuto
a slogan e motteggiar bellico che s’aggira non solo la domenica per gli
stadi, ma pure il sabato alle manifestazione, il venerdì ai comizi, il
giovedì alle riunioni di condominio, il mercoledì sera in televisione,
a rivendicar la sua impossibilità a starsene racchiuso in un recinto
issato a colpi di ordine, e di disciplina, e di rispetto delle regole.

Che se ce la volessimo proprio
dir tutta, ecco, a volerle rispettare, certe regole, mi sarei dovuto
astenere, poi, dal parlar a casaccio di Non dimenticare la rabbia.
Perché dopotutto non l’ho letto mica, io, ancora, il libro di Marco
Capoccetti Boccia. Certa letteratura underground non la trovi, sotto
Natale, in una libreria dal nome omerico in centro città, a
Civitavecchia. Dove s’aborra la destabilizzante forza della voce fuori
dal coro. Dove mi son ritrovato a farmi impacchettare, alla fine della
fiera, una vecchia edizione del dickensiano Canto di Natale. "Ci furono
altri balli, giochi di società, ancora balli, e ci furono dolci, e ci
fu vin caldo, e ci fu un gran pezzo d’arrosto freddo, e ci fu un gran
pezzo di bollito freddo, e ci furono pasticci di carne tritata e birra
in abbondanza", c’è scritto, a pagina cinquantuno. Già me lo vedo
Gionata, intento a preoccuparsi per ciò che mancava, in quell’atmosfera
dannatamente natalizia, fottutamente rassicurante.

Mancava la rabbia.
Non dimenticarla mai, la rabbia, Gionata.
E buon Natale.

 Il link dove leggere la recensione:

 http://www.seroxcult.com/HOME/News_culturali/Mostre_di_arte_virtuali/BOOK/Non_dimenticare_la_rabbia_tp7_pg43_id9608.aspx

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Recensione di Ginnastica e Rivoluzione di Vincenzo Latronico

Personamente non riesco ancora a
scrivere di Genova.

Intendo di Genova 2001 quando centinaia
di migliaia di persone da tutta Italia e da tutto il mondo si
recarono nel capoluogo ligure per contestare gli 8 stronzi.

Troppe cose mi bloccano nello scrivere
e nell’elaborare quei maledetti giorni di morte e sconfitta.

Presumo che lo stesso valga per il
bravissimo Vincenzo Latronico che nel suo romanzo "Ginnastica e
Rivoluzione" (Bompiani) ha deciso di parlare di Genova senza
arrivarci.

Scrivendo di sogni e desideri,
incazzature e sbandate, disillisioni e grandi attese vissute da un
gruppo di ggiovani all’indomani della partenza per il G8 da Parigi,
la bellissima Parigi…che intatta mantiene dopo oltre 200 anni il
fascino della città rivoluzionaria…

Vincenzo ci racconta però i sogni e
gli scazzi, le disillusioni che nascono e rinascono già prima di
partire. In cui personale e politico si fondono alla grande
all’interno di una specio di comune parigina in cui però si paga
l’affitto al compagno-proprietario.

Armati dell’arma degli anni zero, la
fotocamera e la telecamera, più potenti di uno stupido kalashinikov,
e di un intero archivio di informazioni da usare a fini rivoluzionari
ma se necessario vendere anche al miglior offerente (un giornale di
destra ovviamente..) si avviano alla battaglia delle battaglie mal
messi e in crisi d’amore, di idee e di metodi di lotta.

Ma si avviano.

Inciampando per la strada in
pubblicitari e cicloattivisti, superavvocati e vecchi sindacalisti
segnati dalle sconfitte.

Ma si avviano.

Dove e come tocca a voi scoprirlo.

Ma io vi consiglio alla grande questo
romanzo fatto di scrittura sopraffina, di una storia originale e
affatto retorica, di un tocco di classe inaspettato.

Un romanzo che dichiara apertamente la
propria avversità alla sconfitta pur sbattendoci contro alla grande.
Un romanzo che apre ai sogni bisogni e desideri, come si diceva una
volta, pur volendo contrastare la generazione che ha fatto il ’68.

Un cazzo di modello di riferimento che
nel bene e nel male ci schiaccia ormai da 40 anni

Un romanzo che non vuole fare la
rivoluzione, perché coi romanzi non si fa la rivoluzione.

Forse…


Bravo Vincenzo!

E buona lettura a voi che non potete
lasciarci scappare l’idea della Ginnastica e della Rivoluzione.



Marco Capoccetti Boccia




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Recensione di “Katacrash” di Fabrizio Gabrielli

Personaggio affascinante Gionata…

Con lo sguardo fisso sulla realtà che
lo circonda, pronto a cambiarla, anche a cazzotti se necessario, pur
di viverla a pieno.

Uno che passa dai margini al centro e
di nuovo ai margini senza soluzione di continuità ma anche con
l’impossibilità di dimenticarlo…

Gionata fa parte di una storia di cui è
difficile trovare traccia perfino nei meandri della solita
letteratura undergound e un po’ piaciona che dai tempi dei cannibali
imperversa ammiccante verso una fetta dei lettori e delle lettrici
italianie. Una storia che vive alle periferie delle periferia.

Nata e morta e sepolta mille volte.

Cazzo.


La storia di un gruppo di amici
all’ultimo anno di scuola, quello in cui da mesi si è autoinvasi da
notte prima degli esami di quel coglione di Venditti.

E’ una storia di rap e hip hop che però
non vi starò a raccontare qui in poche parole.

Troppo facile e troppo difficile allo
stesso tempo, cazzo.

Ma come si può raccontare un libro in
poche righe?

Non si può e basta.

Ma si può dire perché vale la pena
leggerlo.

Beh perché…


A quei tempi il rap e l’hip hop li
odiavo.

Ero un militante duro e puro di 18 anni
suppergiù che non sopportava questa invasione dei centri sociali
(che noi chiamavo spazi di lotta per i proletari! Pensa un po’…) da
parte di tutti questi gruppi hippoppari del cazzo! Dalle posse ai
pischelli del quartiere mi sembravano tutti una scopiazzatura dei
gruppi americani. Di cui conoscevo e ascoltavo solo Public Enemy,
perché erano i più famosi e soprattutto perché erano cattivi e
militanti…

In effetti non odiavo il rap e l’hip
hop, che oggi ascolto con piacere sempre più spesso pur non essendo
un esperto… ma odiavo tutti coloro che svuotavano di senso i nostri
spazi di lotta per riempirli di slogan rimati a cui non facevano
seguire azioni ma solo contratti…


Oggi apprezzo quindi moltissimo questo
libro che racconta di esami di maturità in odio a Venditti e gite a
Parigi, di hip hop e amicizia, della Santa Ganja di Kingston e di
sogni subito infranti…

e per farlo apprezzare anche a voi mi
trovo per forza di cose a citare l’intera quarta di copertina:


"Noialtri si è vissuta l’epoca
pioneristica del rap italico.

Noialtri si è stati nella zona d’ombra
larga, imperscrutabile, che s’estendeva fra un Militant A pompato nei
centri sociali, monocorde e pure un po’ palloso, ed i Sottotono che
imperversavano su emtivvì e giravano ad heavy-rotation ad ogni
juxebox.

Quando ci stavo dentro noi, Mondo
Marcio stava ancora a combattere con lo psicanalista chiuso dentro a
una scatola, bro.

Noialtri s’è vista La Pina quando le
piovevano addosso angeli, quella delle Spice Girls quando le
piovevano addosso uomini, Jovanotti quando gli pioveva addosso e
basta.

Noialtri, per dirla tutta quando si
faceva il rap lo si faceva pure molto bene.

Però, erano meglio i Sangamaro.

Gionata avrebbe fatto di
quest’affermazione il suo cavallo di battaglia.

Anche se di Gionata, che ci crediate o
meno, c’era stato un periodo in cui non intuivamo nemmeno
kintanamente l’esistenza".


Per chiudere vi segnalo che in terza
pagina viene citata la famosa frase "Avevo vent’anni. Non
lascerò dire a nessuno che sia l’età più bella della vita"
(Nizan, Aden Arabie).

E la cosa mi ha fatto riflettere sul
fatto che per quanto venga usata questa frase con un fine di
ribellione verso il mondo degli adulti e del sistema in generale..beh
mica è tanto vera.

Oggi, che ne ho quasi 37, dico che si
cazzo, era davvero l’età più bella della vita

O no, Gionata??


Marco Capoccetti Boccia

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Recensione di “Nessun maggior dolore” di Emiliano Misici

Finalmente sono riuscito a leggere il
romanzo di esordio di Emiliano Misici, "Nessun maggior dolore"
(Il Filo Editore)

Finalmente perché ne è valsa davvero
la pena!

Mi son deciso a leggerlo dopo un anno
che si trovava sulla mia scrivania e ho deciso di combattere e
superare l’ansia iniziale che mi aveva colto quando avevo deciso di
mollarlo rimandando a tempi migliori la lettura.

I tempi migliori sono giunti e vi
recensisco questo bel libro invitandovi a leggerlo.


E’ la storia di Ludovico, famoso tenore
italiano, che alla fine della sua vita decide di suicidarsi: si getta
dalla Torre della propria casa, un bellissimo e antico casale della
Toscana.

Manrico, unico figlio vivente di
Ludovico accorre al capezzale del padre e ripercorre la sua vita e
quella della propria famiglia. Una vita segnata da una tragica morte
di cui solo nel finale del libro conosceremo il motivo.

Perché un uomo decise di suicidarsi
alla fine della propria esistenza?

Perché non riesce a compiere un atto
apparentemente così semplice?

Ludovico non parla. Manrico inizia a
scavare nel passato di suo padre.

Ma forse è meglio lasciare sepolti
certi segreti…

"Nessun maggior dolore che
ricordarsi del tempo felice nella miseria"

Ma è vera miseria quella in cui si
vive? Ed era davvero un tempo così felice quello vissuto?

Alle lettrici e ai lettori la risposta.


Un libro che vi consiglio di cuore,
seppur difficile da digerire per l’ansia che può creare ( a me ne ha
creata un bel po’!!)

Soprattutto per un finale che forse è
verosimile o forse è un puro artifizio letterario.

Ecco l’unico aspetto del libro che mi
ha lasciato un po’ perplesso, se non addirittura contrariato alla
prima lettura.

A cui ne è seguita per forza di cose
un’altra, veloce, delle ultime pagine. Per capire cosa non mi
convinceva…ma non sto qui a dirvelo adesso. Leggetelo e poi ne
riparleremo.

Bravo Emiliano, continua così!!


Marco Capoccetti Boccia

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RIVOLTA A MAGLIANA

Il 14 settembre 2009 circa 200 carabinieri comandati dal
generale Vittorio Tomasone si recano a sgomberare la ex scuola 8
marzo occupata da famiglie e precari senza casa nel quartiere
periferico della Magliana, a Roma. Alla fine vengono arrestati 5
occupanti con accuse false e infamanti:associazione a delinquere ai
fini di estorsione, furto e ricettazione di rame, furto di energia
elettrica e violenza privata.

questo racconto è liberamente ispirato a quel fatto di
cronaca ma i nomi e i personaggi in esso contenuti sono di pura
fantasia.

Per chi vuole leggere la storia vera della 8 Marzo di
Magliana e cosa è accaduto in quei giorni può visitare il sito:
occupa.noblogs.org

 

 

Il telefono squilla che il sole non è ancora nato.

Ginevra mi dice veloce: ci stanno sgomberando.

Ok arrivo le dico. La notizia che temevamo è alla fine
arrivata. Cazzo finalmente adesso si potrà combattere senza questa
bolla d’ansia che ci assedia da mesi.

Di nuovo sulle barricate, finalmente.

Metto un paio di jeans neri, la maglietta del Macchia
Rossa e un giacchettaccio da battaglia e scendo giù.

Per fortuna che non ho riconsegnato la macchina,
altrimenti avrei dovuto prendere un taxi di merda e allora addio
barricate…

Fuori è buio e un po’ fresco, finalmente dopo tanto
caldo.

Un elicottero vola basso sul cielo di Roma e il suo faro
potente squarcia la notte.

Dal mio nuovo quartiere alla Magliana c’è già traffico
e questo cazzo di elicottero è sempre sopra la mia testa.

Non riesco a trovare parcheggio.

Il mio vecchio quartiere non cambierà mai.

Fa uno strano effetto tornarci all’alba per difendere
un’occupazione in cui ho scelto di non stare.

Due anni senza mettere piede alla Magliana, coi miei
fantasmi che mi salutano dai marciapiedi.


Arrivo e già una cinquantina di compagni si
fronteggiano coi carabinieri.

Vedo Valerio, facce di anni passati. Addirittura
Fabietto e Roberto sono scesi da casa. Siamo pronti. Mando sms e
faccio un paio di telefonate. Siamo tanti e pochi allo stesso tempo,
spero che arrivi altra gente altrimenti ‘sti stronzi ce la faranno,
come hanno fatto al Regina Elena e a Via Salaria, pochi giorni fa.


Siamo bloccati dai cordoni dei carabinieri. Via
dell’Impruneta è chiusa ai non residenti. Io in effetti ho ancora la
residenza nel mio vecchio quartiere per cui provo a giocarmi questa
carta. Ovviamente mi bloccano e non mi fanno passare lo stesso.
Allora con Valerio e un paio di altri vecchi compagni cerchiamo di
aggirare il muro di carabinieri senza sbattergli contro. Facciamo il
giro lungo: passiamo fra le sterpaglie, sul lungotevere, andiamo
sulla ciclabile. Troviamo i caramba anche lì, che sporcano la pista
con le macchine e gli scarponi militari. Qualche spinta e una mezza
sceneggiata e riusciamo a scendere dalla ciclabile fino all’entrata
della scuola 8 Marzo. Ora siamo di fronte al cancello.


Abbraccio Falco e gli altri con le lacrime agli occhi.
Non vi faremo cacciare! Dai! Siamo tanti e tutti qua fuori! Non
finirà come le altre occupazioni appena sgomberate: Magliana
Resiste! Ci attiviamo. Telefonate, sms, arrivano i fotografi e la
stampa.


Ma ancora non si capisce cosa succede: è uno sgombero o
no?

Centinaia di carabinieri in stato di assedio circondano
l’edificio e buona parte del quartiere ma neanche un poliziotto.
Nessun digossino.

Impossibile che sgomberino un edificio di proprietà
comunale senza l’autorizzazione ufficiale di Prefetto, Questore,
Digos e Sindaco…

I consiglieri locali dei pezzi rimasti della sinistra
istituzionale contattano Questura e Digos: i super poliziotti si
fanno negare al telefono, sembra che l’aria sia davvero fredda,
gelida. La storia è gestita da Carabinieri e Procura. L’ordine viene
dall’alto Comando e quindi nessun altro organo istituzionale può
interferire a nostro favore.


Roberto ci racconta com’è andata la storia.

Sua sorella stamattina alle 5 stava andando al lavoro
quando ha bucato una ruota della macchina su via della Magliana e ha
tirato giù dal letto il fratello per farsi aiutare. Manco a farlo
apposta mentre Robertone piazzava il cric sotto la macchina s’è
visto sfilare decine di gazzelle e blindati dei caramba.

Non è stato difficile capire che stavano andando a
sgomberare la ex scuola occupata 8 marzo. Ha telefonato agli
occupanti che hanno avuto un paio di minuti per precipitarsi giù dal
letto e sistemare le cose più urgenti.

I fedeli dell’Arma hanno trovato il cancello chiuso con
due catenoni e hanno perso tempo ad aprirlo. Poi si sono imbattuti
contro la porta di accesso all’edificio saldata. Altro tempo perso
per buttarla giù. Tempo ben usato dagli occupanti per salire sul
tetto e telefonarci.

Più di mezz’ora prima che i militari prendessero
possesso della scuola. Tempo che ha impedito lo sgombero "a
cartoccione", cioè senza autorizzazione per motivi di ordine
pubblico.


Tempo che abbiamo usato, dentro e fuori, per organizzare
la Resistenza.

Ora che 100 persone sono sul tetto della scuola e altre
100 sono per le vie del quartiere sarà difficile sgomberare. Siamo
disarmati ma determinati. Urliamo in faccia ai militari che dovranno
bastonarci e arrestarci se vogliono sgomberare la 8 Marzo.
Fotografateci pure, denunciateci tutti e tutte. Ma non vi lasceremo
fare il terzo sgombero di questo maledetto settembre nero di
Alemanno.

Ma a quanto pare non vogliono più sgomberare: eseguono
una perquisizione di tutto l’edificio con tanto di pompieri che
cercano chissà cosa nei tombini del cortile della scuola.
Identificano tutti e ci sono 6 ordini di comparizione. Decisi
dall’alto. Dal Magistrato? Da quel fascista di Santori che da mesi
provoca e insulta gli occupanti?

Forse qualcuno più importante.

Il Generalissimo.

Che viene a riscuotere gli applausi dei suoi soldati,
che, ridicoli, si dispongono su due file a formare il picchetto
d’onore per accoglierlo e farlo entrare nel cortile della scuola,
definitivamente "liberato" dai baschi neri.

Dal suo arrivo le cose precipitano: il mandato di
comparizione si trasforma in mandato di arresto immediato e 6 dei
nostri compagni dovranno essere tradotti via con le gazzelle
immediatamente in carcere.

La prima macchina con i compagni in manette esce dal
cortile della scuola assediata: non tratteniamo più la rabbia e gli
tiriamo contro le transenne. I caramba fanno cordoni e spingono ma
non controcaricano. Anzi sembra che non vogliono far salire
ulteriormente la tensione, non vogliono scontri e si prendono tutti
gli insulti e le spinte possibili senza (quasi) reagire.

"annatevene annatevene caramba de merda!" Gli
gridiamo, dopo che son riusciti a portare via i nostri compagni.

Giriamo cassonetti e ‘sti cazzi di quello che pensa la
ggente del quartiere. Siamo incazzati e non badiamo più a nulla. È
il caos.

A quella giornata seguono cortei nel quartiere e sit-in
sotto le carceri, conferenze stampa e assemblee cittadine.

Per 16 lunghi giorni i nostri compagni restano dietro le
sbarre e noi fuori a gridare nel silenzio.

La storia che era iniziata con una telefonata finisce
con un’altra telefonata. L’avvocato mi dice che hanno concesso i
domiciliari…

Una parte dell’incubo è finito.

Ora ci tocca continuare la battaglia lontano dalla luce
dei riflettori di movimento. Dobbiamo tirarli fuori dai domiciliari
con uno sfibrante lavoro da avvocati.

La lotta va avanti.

 




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Recensione di Marina Pierani al mio libro “Non dimenticare la rabbia”

Il libro di cui voglio parlare oggi è un libro particolare perché ci
porta dentro un mondo che conosciamo poco e comprendiamo meno. Il mondo
della rabbia giovanile e delle sue diverse espressioni. Il mondo delle
strade disadorne delle periferie, delle piazze "calde", dei treni
speciali per le trasferte calcistiche, quel mondo emarginato che si
autoemargina in risposta e costruisce da sé la sua stessa
rappresentanza, rifiutando qualsiasi mediazione.

Sono 12 racconti,
di qualità diversa ma tutti molto coinvolgenti. Quelli più belli sono
quelli dove prevale il ritmo e il tempo è un accavallarsi di azioni.
Raccontare
il movimento non è facile ma l’autore lo fa benissimo. Ci si sente
immediatamente presi e trascinati nell’ azione assieme ai protagonisti.
Trascinati dove? Intorno agli stadi, in curva, nei cortei e nelle
azioni dimostrative, nelle spedizioni punitive contro i fascisti, negli
scontri con la polizia, sempre all’assalto…
All’assalto di che cosa?
Del mondo così com’è: ingiusto, piatto, uniforme, escludente. Violento.
E
la violenza del mondo viene inghiottita dal protagonista del libro e
risputata in risposta perché gli appare la più appropriata, l’unica
anzi che non sia stata plasmata a immagine e somiglianza del potere
stesso che lui contesta.
Per amare queste storie bisogna
rinunciare a stare fuori dai gruppi che si muovono sulle strade,
rinunciare a guardarli da fuori. Cercare invece di tenersi il più
possibile stretti a questi ragazzi, in linea con loro, come direbbe il
protagonista con il suo linguaggio militare.
Visti così da
vicino gli ultras, gli autonomi, i militanti a sinistra di tutte le
sinistre, gli antagonisti " a prescindere", tutti i giovani arrabbiati
dei centri sociali e delle periferie, si scoprono pieni di "valori"
forti. L’amicizia, il coraggio, la solidarietà tra compagni, la lealtà
nello scontro, la fedeltà alla parola data, il disprezzo per i
compromessi. Se ne scopre anche la paura e la capacità, tutta
giovanile, di stupirsi per il mondo e i suoi sprazzi di bellezza.
Sentirli
vicini fa quasi paura perché quella massa confusa di alienazione e
ribellismo sembra un’onda destinata a travolgere tutto. Anche la nostra
incomprensione. Io però temo che in molti casi la società si sia già
incaricata di travolgere loro o meglio di renderli comparse nella sua
rappresentazione della realtà.
Nessuna lettura giornalistica
o sociologica può dare, né mai mi ha dato, come questi racconti, il
senso del mondo delle tifoserie organizzate e delle loro parole
d’ordine: l’odio, la vendetta, la disciplina, il rispetto delle
gerarchie, l’orgoglio di appartenenza. Ma nello stesso tempo mi ha
trasmesso la sensazione netta del terribile spreco di energie giovanili
e slancio vitale che queste forme di ribellione violenta rappresentano
e della assoluta necessità che ci sarebbe di riportare sul terreno
della battaglia sociale i giovani che viaggiano nelle nostre città
armati solo di rabbia e bastoni. Per me è impossibile leggere di questo
mondo violento e autoreferenziale senza pensare che è il prodotto di
altrettanta violenza e autoreferenzialità, e che quella necessità di
impegno politico resterà senza risposte. Al breve e, temo, ancora a
lungo.
Per queste riflessioni, oltre che per il suo bel narrare, sono grata all’autore.
 
tratta da: 

http://ineziessenziali.blogspot.com/2009/12/il-segnalibrosei.html

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LIBERTA’ IMMEDIATA PER FRANCESCA E SIMONE! LIBERTA’ PER CHI LOTTA!

Giovedi 19 novembre la Magistratura romana ha mostrato ancora una
volta il suo vile volto reazionario e intimidatorio: ha negato i
permessi lavorativi a Francesca, occupante della 8 Marzo di Magliana.

Dopo 17 giorni passati in tre carceri diversi (Rebibbia, Civitavecchia
e Perugia) e dopo quasi due mesi di arresti domiciliari, il GIP Cecilia
Demma ritiene di dover negare i permessi lavorativi a Francesca con
motivazioni odiose, false e contraddittorie:

Le viene negato il permesso lavorativo perchè, in base al quadro emerso
dall’inchiesta, viene considerata "persona non idonea a lavorare con il
pubblico", in particolare con le "cosidette fasce deboli".

La GIP, inoltre, motiva il respingimento affermando che si tratta di
una “misura concessa in casi particolari”, mentre questa stessa misura
è stata invece concessa solo qualche giorno fa ad un altro occupante la
cui posizione nell’inchiesta è molto simile a quella di Francesca.

Infine la sentenza afferma che il luogo di lavoro di Francesca è
"difficilmente controllabile", quando in realtà si tratta di una casa
famiglia con indirizzo noto alla magistratura e alle forze dell’ordine

Appare chiaro come i Giudici utilizzino la discrezionalità delle misure
cautelari con intenti punitivi, come arma rispondente a precise
indicazioni politiche.
Insieme a questa negazione della libertà per Francesca la Gip Demma e
la Pm Lionetti continuano a negare la riduzione delle misure cautelari
anche per Simone che dal 14 settembre scorso si trova agli arresti
domiciliari con il divieto di vedere persone che non siano i suoi
familiari diretti e con l’impossibilità perfino di poter usare telefono
e internet. A queste pesanti restrinzioni solo ultimamente è stata
fatta una deroga: la possibilità di uscire due ore solo ed
esclusivamente per mansioni di supporto alla anziana nonna con cui
Simone vive, senza poter parlare con nessuno.
A causa di queste restrinzioni alla libertà personale Simone ha perso il lavoro precario che aveva.

È ora di dire le cose come stanno:
Francesca è una operatrice sociale di una cooperativa che da anni si
impegna per migliorare le pessime condizioni di vita di chi è recluso/a
e di cui le recenti cronache ci hanno dato una triste conferma. Simone
è un lavoratore precario costretto a cambiare lavoro ogni mese e ad
affrontare lunghi periodi di disoccupazione.
Francesca e Simone sono occupanti della "8 marzo", una ex scuola di
proprietà comunale, abbandonata per oltre 20 anni al peggiore degrado.
Francesca e Simone, insieme ad altre decine di persone senza casa,
hanno occupato quella scuola, l’hanno ristrutturata con i soldi del
proprio stipendio e con le iniziative sociali di sottoscrizione
popolare fatte alla luce del sole. Francesca e Simone hanno poi aperto
al quartiere quella Casa Occupata, trasformandola anche in uno spazio
di organizzazione contro l’emergenza abitativa nel territorio, contro
il razzismo, con degli spazi sociali come la palestra popolare e il
laboratorio teatrale. Francesca e Simone sono anche militanti del
Centro sociale "Macchia Rossa" che da anni si batte nel quartiere
contro gli sfratti e gli sgomberi, che ha organizzato una ciclofficina
popolare e mille altre attività assenti in un quartiere abbandonato
dalle istituzioni come è la Magliana.
Francesca è una militante del movimento femminista che si è battuta con
forza, insieme ad altre donne del quartiere, contro la chiusura del
Consultorio della Magliana, e che conduce ogni giorno battaglie
politiche culturali insieme alle donne del quartiere e della città
contro il sessismo e il maschilismo imperanti.

Francesca è una compagna che agisce con un approccio di genere partendo
dal presupposto che la realtà è radicalmente sessuata e che donne e
uomini la sperimentano in maniera diversa. Per questo il suo percorso
politico dentro la 8 marzo e a Magliana è stato anche una continua e
quotidiana lotta contro i rapporti di potere che sono alla radice delle
disuguaglianze sociali fra i generi. Smascherando le forme più o meno
latenti del machismo diffuso, Francesca ha così sempre lottato contro
gli stereotipi vecchi e nuovi che esprimono e legittimano il
patriarcato.
Per contrappasso, il ritratto di Francesca tratteggiato dalle croniste
del quotidiano Il Tempo sembra ricalcare i più frusti luoghi comuni
della fiction televisiva e letteraria più becera, divenendo l’emblema
della criminalità femminile: dietro l’apparente dolcezza,
quest’efferata criminale capeggerebbe difatti con ferrea determinazione
e lucido calcolo una banda di malfattori soggiogati. Attraverso di lei,
vengono così stigmatizzati i percorsi individuali e collettivi di
protagonismo politico di quelle donne che non intendono assumere il
ruolo dell’abnegazione silente e della dedizione caritatevole,
destinato alla soggettività femminile nella sfera dell’impegno sociale.

Le decisioni maturate in sede giudiziaria lasciano pensare che la
dottoressa Demma e la dottoressa Lionelli, come le giornaliste del
quotidiano romano, siano fruitrici di questa letteratura passatista di
cui evidentemente sposano i valori. Difatti come spiegare altrimenti la
decisione di escludere solo lei da ogni permesso? Perché, a differenza
degli altri imputati, non sono state allentate le restrizioni alla
libertà di Francesca?

Le accuse vergognose di associazione a delinquere e di estorsione che
sono state rivolte contro di loro sono assolutamente false e servono
solo a screditare la figura di militanti che da anni sono impegnati
nelle lotte sociali in questa sempre più fascista città. Vogliono farli
passare per estorsori, criminali comuni, per poterli confinare così in
un angolo, togliendogli la dignità politica e sociale delle lotte che
portano avanti nel massimo riconoscimento del contesto sociale in cui
vivono.

Forse è questa la nuova strategia delle istituzioni: visto che non
riescono a reprimere le lotte sociali e a fermare i/le compagni/e li
criminalizzano, per farli apparire agli occhi dell’opinione pubblica
come pericolosi criminali comuni e non più come soggetti politici
pensanti impegnati ad aprire spazi di libertà.
Ora dietro a questa decisione della GIP c’è un ampio fronte di nemici
delle libertà sociali: In primis il Sindaco Gianni Alemanno con i suo
committenti, i vari Caltagirone, Bonifaci, Mezzaroma.
Poi i rappresentanti più ferocemente reazionari del suo schieramento
come Fabrizio Santori, consigliere del Pdl e presidente della
commissione sicurezza del comune di Roma e gli esponenti delle varie
correnti comunali e municipali come Marco Palma, Federico Rocca,
Augusto Santori, Piergiorgio Benvenuti, in guerra fra loro ma sempre
uniti nel condurre una vergognosa battaglia per chiedere lo sgombero
delle occupazioni e degli spazi occupati del territorio.
Tutti costoro, forti dell’appoggio governativo, trovano importanti
alleati in personaggi potenti che rimangono sullo sfondo come il
Generale dell’Arma dei carabinieri Vittorio Tomasone che ha condotto
gli arresti del 14 settembre e che oggi compare nella gestione
dell’affare Marrazzo costato già la vita ad un paio di persone. Nel
quotidiano l’inchiesta viene condotta da quasi un anno dal Maresciallo
dei carabinieri della caserma di Magliana Pietro Bernando che da due
anni minaccia, insulta, perseguita spesso anche con mezzi non leciti
gli/le occupanti della 8 Marzo insieme alla P.M. Santina Lionetti che
pur di compiacere i militari dà credito ad un’inchiesta vergognosa e
totalmente falsa contro Francesca, Gabriele, Simone, Sandrone, Sandro e
Michele, tratti in arresto lo scorso 14 settembre.

Un fronte ampio e ben organizzato che va dalle forze dell’ordine alla
magistratura, dai giornalisti ai consiglieri del Pdl fino ai
palazzianari che uniti hanno cercato di schiacciare nel fango uno
spazio di lotta e di libertà come la 8 marzo e che hanno sgomberato
l’Horus, il Regina Elena, che criminalizzano gli studenti che occupano
le scuole e l’università, che scatenano campagne razziste contro rom e
lavavetri, che stanno ridisegnando una città razzista, violenta,
sessista, omofobica e asservita al volere degli speculatori di sempre.

La storia del tentato sgombero della 8 Marzo e dell’arresto di 6
compagni cade non a caso in un momento in cui, per chi in Italia
pratica percorsi organizzativi delle lotte sociali, il clima è divenuto
pesante. Ne sono un esempio i processi sugli eventi del G8 di Genova
del 2001 che hanno visto pesanti condanne ai danni di 11 manifestanti e
assoluzioni totali o quasi per le forze dell’ordine che hanno attuato
una repressione feroce che ha prodotto migliaia di feriti e la morte di
Carlo Giuliani. Oppure come i numerosi casi che vedono compagni e
compagne arrestati/e o colpiti/e da provvedimenti amministrativi
fascisti della Questura, come il famigerato articolo 1, secondo il
quale si può essere considerati sorvegliati speciali e dunque essere
costretti a limitazioni assurde come l’obbligo di dimora nella stessa
casa dalle 21 alle 7 o l’impossibilità di accompagnarsi con più di tre
persone contemporaneamente.

Infine, come non citare il gravissimo episodio di violenza padronale
consumato all’Agile –ex Eutelia- azienda, condotta al fallimento, dove
quasi 2000 lavoratrici/ori dopo essere stati messi in mobilità sono
stati anche aggrediti da una squadraccia prezzolata guidata dall’ex
amministratore Landi durante un presidio nel loro posto di lavoro.
Avvenimenti molto diversi tra loro ma che hanno in comune la
repressione di forme di lotta sociale.
La crisi economica, al di la delle dichiarazioni dell’establishment,
sta producendo un numero enorme di licenziamenti e cassaintegrati il
che, unito ai continui tagli ai servizi (scuola, università, sanità),
sta creando un impoverimento di vasti settori della popolazione
italiana. In questa situazione sono già emerse, durante l’estate e
l’autunno forme di resistenza e conflittualità sociale. Ovviamente
questo di per sé non compromette la pace sociale necessaria a far
uscire i padroni indenni dalla crisi, ma ha una potenzialità che in
qualche modo disturba e preoccupa. In questo senso ci spieghiamo anche
diversi provvedimenti legislativi assunti dal centrodestra in questi
ultimi tempi: dalle limitazioni al diritto di sciopero, al tentativo di
limitare le manifestazioni a Roma, fino al pacchetto sicurezza.
In questa situazione il movimento di lotta per la casa, a Roma, pur nei
limiti e nelle difficoltà, riesce ancora a prendere l’iniziativa.
Questo fa sì che un etereo spettro di organizzazioni delle lotte
sociali si aggiri per l’urbe e questo è sufficiente alla giunta
Alemanno affinché gli dichiari guerra. Dichiarazione avvenuta il primo
settembre con lo sgombero dell’ex Regina Elena, seguito poi dallo
sgombero di Via Salaria e dal tentato sgombero della 8 Marzo durante il
quale sono stati tratti in arresto Francesca, Giobbo, Simone, Sandro e
Sandrone.

Certo è una guerra condotta facendo due passi avanti e uno indietro ma
indubbiamente non amano pensare che Roma sia una delle ultime città
d’Europa dove ancora vengono occupati stabili abbandonati. Di per sé
questo non è sufficiente a muovere una guerra nel nome della legalità;
evidentemente la spinta propulsiva a questa offensiva la fornisce chi
ha degli interessi concreti, materiali ed immediati legati agli stabili
occupati e alle zone circostanti. Nel caso dell’ex Regina Elena ciò è
evidente dalle dichiarazioni del Rettore e dallo stato avanzato dei
progetti (nonostante lo stop della sovrintendenza ai beni culturali).
Nel caso dell’ex scuola 8 marzo queste motivazioni sembrano, se non
meno chiare, almeno meno urgenti. Quello che è noto è che da poco è
stato rinominato lo staff dirigenziale dell’ex Sviluppo Italia che ha
sempre avuto interessi speculativi sull’immobile di via dell’Impruneta
51. Tra i nuovi dirigenti risulta esserci nientemeno che Caltagirone.
Il loro progetto, ancora in una fase iniziale, è di demolire lo stabile
e di costruire al suo posto un enorme parcheggio giustificato dal nuovo
collegamento, in via di discussione, di una funivia che colleghi le due
sponde del Tevere. Questo progetto uscito fuori dal cilindro di
Veltroni già più di due anni fa (e allora aspramente criticato da
Alemanno e dalla destra) ha riscosso e riscuote tuttora i consensi del
Partito Democratico
ed ora sembra essere rilanciato in sordina dal centrodestra romano. Del
resto la torta è abbastanza grande da poter garantire una fetta a
tutti. Sembra chiaro che in un periodo di crisi in cui il mercato
immobiliare subisce una (leggera) flessione, i signori del mattone
devono cercare altri investimenti per far tornare i conti dei loro
profitti e quale occasione migliore se non quella di una speculazione
su un bene pubblico come una ex scuola del Comune? O come quella sulla
ex Fiera di Roma? O come il nuovo stadio della A.S. Roma con annessi
palazzi residenziali e centro commerciale da costruire su terreni a
destinazione agricola ancora una volta in deroga al già vergognoso
Piano Regolatore? E’ chiaro che quelle forze politiche che sono al
governo della città e quelle che sperano di tornarci fanno a gara per
cercare il consenso dei palazzinari, veri padroni di Roma. Questi sono,
a nostro avviso, alcuni degli elementi che concorrono a far luce sul
perché alcuni compagni e una compagna accusati di niente vengono
privati della loro libertà per mesi.

Non facciamoci intimidire dalla repressione, non restiamo in silenzio: estendiamo le lotte sociali contro la crisi!
Libertà per Francesca, Simone e gli altri occupanti della ex scuola 8 Marzo!

Comitato d’ Occupazione Magliana
Centro Sociale Macchia Rossa
Ciclofficina Macchia Rossa

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